Madiba e il Che

Giuliano Ferrara

Siamo nati al mito politico con il medico argentino Ernesto Guevara, ne moriamo con il regale profeta della libertà e autodeterminazione del Sudafrica Nelson Mandela (1918-2013): questo è un beatifico progresso, per una generazione che ne ha sbagliate parecchie e che, almeno per una parte di essa, ha bruciato nel nichilismo e nell’utopia le mito-ideologie del Novecento. Sono gretti e un po’ stupidi quanti polemizzano sul concetto di riconciliazione politica e civile, che è centrale nella figura di Madiba ed è stato evocato, prima che dalla destra italiana, dagli editorialisti del New York Times (in modo peraltro impeccabile).

    Siamo nati al mito politico con il medico argentino Ernesto Guevara, ne moriamo con il regale profeta della libertà e autodeterminazione del Sudafrica Nelson Mandela (1918-2013): questo è un beatifico progresso, per una generazione che ne ha sbagliate parecchie e che, almeno per una parte di essa, ha bruciato nel nichilismo e nell’utopia le mito-ideologie del Novecento. Sono gretti e un po’ stupidi quanti polemizzano sul concetto di riconciliazione politica e civile, che è centrale nella figura di Madiba ed è stato evocato, prima che dalla destra italiana, dagli editorialisti del New York Times (in modo peraltro impeccabile).

    Il Che fuggì una rivolta caudillista destinata a estinguersi nell’autoritarismo castrista e credette fervorosamente, mettendo in campo sé stesso, in una specie di rivoluzione permanente, in una teoria dei fuochi e dei cerchi concentrici di propagazione della guerriglia contadina, a partire dalla Bolivia, cuore di una rivoluzione latinoamericana che non c’è mai stata e avello cristico del combattente indomito. Il contrario della calma, della infinita resistenza e pazienza, del realismo di Mandela, che sfidò l’eternità di una repressione carceraria per uscirne, lui apparente leninista e comunista delle origini, come un Re o un principe nuovo della vecchia aristocrazia nera consapevole di ciò che è un disegno politico e di stato.

    L’antropologia di Mandela non è quella di un moralista, non è rivolta al passato totalitario e al suo lascito, ha un tratto autenticamente liberale e riformatore, nonostante le condizioni poco più che belluine a cui fu costretta e in parte è ancora costretta la maggioranza nera del paese colonizzato e formato dalla minoranza bianca boera. Mandela voleva riuscire in un’impresa per la realizzazione della quale l’alleanza con i bianchi illuminati era il riscontro del più radicale contrasto, dei risentimenti e di uno spirito di vendetta che questo uomo profondamente capace di adoperare la bontà e il coraggio personale escludeva dal proprio orizzonte. Certo ha vissuto e ha provato tempi di ferro e di fuoco, il suo lascito, condiviso per una parte sostanziale con Frederik de Klerk, è pregno di contraddizioni e incompiutezze. Ma questo è tipico di un’opera politica autentica, della sua capacità di emozionare, di illudere, di portare in terra uno spicchio di giustizia, senza pretendere il paradiso infido dell’eguaglianza e di una pace senza speranza.

    La pace di Mandela, la sua spallata storica al regime dell’apartheid e alle sue basi razziste, è la pacificazione, la cooperazione, il metodo inconfutabile ma gradualista e pedagogico dell’educazione e della coesione sociale, etnica, nazionale. Si può e si deve sperare che questi giorni di lutto internazionale, con l’inevitabile sovraccarico di bolse retoriche su un nucleo di verità non controvertibile, serva a convincere i riottosi del fatto che i rivoluzionari veri sono uomini di stato, ed è cosa buona e giusta che talvolta muoiano felici nel proprio letto. Il sorriso di Mandela, il suo distacco regale, la forza tribale del suo umanitarismo senza leziosità, ecco le meravigliose lezioni di politica e di sguardo sulla storia umana che il leader dei neri della fine del mondo ha portato in questa parte di mondo, che ne aveva bisogno.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.