
Lettera agli sfascisti
Perché il Pd non è pronto a sfidare la nuova destra
Nei fatti politici di questi giorni sta accadendo qualcosa di cui si è parlato ancora poco perché da una lettura superficiale degli eventi non emerge. E’ vero, che il centrodestra è diviso. Ma la divisione Forza Italia/Alfano è molto diversa dalla divisione Berlusconi/Fini. Lì c’era una frattura insanabile: nei rapporti personali, nella cultura, nei valori, nella collocazione strategica, nelle prospettive. Qui lo schema è un altro.
di Nicola Zingaretti
Nei fatti politici di questi giorni sta accadendo qualcosa di cui si è parlato ancora poco perché da una lettura superficiale degli eventi non emerge. E’ vero, che il centrodestra è diviso. Ma la divisione Forza Italia/Alfano è molto diversa dalla divisione Berlusconi/Fini. Lì c’era una frattura insanabile: nei rapporti personali, nella cultura, nei valori, nella collocazione strategica, nelle prospettive. Qui lo schema è un altro. C’è un soggetto politico, il Pdl, che si scompone, scomponendosi litiga ma non rompe il suo collante strategico e gli interessi ai quali si è sempre riferito e, quindi, già prefigura la sua riorganizzazione: non più come partito unico ma come campo di forze largo – dalla Lega a Fratelli d’Italia, dal Nuovo centrodestra di Alfano a Forza Italia – che, proprio a partire dalla sua articolazione, sfrutta questo passaggio di tempo per tentare un nuovo radicamento nella società.
Le elezioni europee che spingono, nella dinamica interna dei singoli stati, a una conta proporzionalistica tra diversi partiti, sono il terreno ideale per chi vuole perseguire questo disegno, al quale anche la dialettica aspra di questi giorni è funzionale. Una gara in cui ci si misura, si stabiliscono rapporti di forza, ma alla fine, in assenza di chiarezza sulla modifica della legge elettorale, ci si incontra giocoforza di nuovo, rinvigoriti dalla contesa, in un’alleanza aperta – capace di dialogare, per intenderci, anche con la scomposizione in atto nel fronte centrista – ed elettoralmente competitiva. Ma attenzione, il fattore tempo che ci divide dalle elezioni politiche incide nelle possibilità di mutare i rapporti di forza tra i soggetti riorganizzati del centrodestra, non so quanto nella somma che in questo momento è superiore a ciò che siamo noi. In altre parole: c’è il rischio concreto di una nuova saldatura della destra conservatrice e populista e di un rilancio della sua capacità attrattiva verso la società italiana.
Se sarà una riarticolazione tattica o sostanziale, se e come saprà gestire il macigno della presenza o dell’eredità di Berlusconi, se e come sarà in grado di organizzare una proposta di governo e una classe dirigente credibile: non è questo, oggi, il nostro tema. Quello che non mi è chiaro è come o se il Partito democratico e le forze del centrosinistra stiano elaborando questa nuova fase.
In questo quadro che cosa è il Pd? Il soggetto unico dell’alternativa? Il perno di una nuova alleanza del cambiamento? Il baricentro di una proposta di governo? Con quali elementi di continuità e quali di rottura? E su quali contenuti, idee, progetti intende farlo? Se non è questo il tema, anche il congresso che si sta celebrando rischia di essere l’ennesima disquisizione su di noi, fermi sulla nostra sponda del fiume, ma con una totale incapacità di indicare su quale sponda vogliamo approdare.
Torna attuale Gramsci: “Crisi è quel momento in cui muore il vecchio e il nuovo non può nascere”.
Il paradosso, anzi, è che mentre la destra pare riorganizzarsi in una articolazione di un campo plurale e vasto di soggetti politici, nel centrosinistra rischiano di riaccendersi risposte identitarie, divisive e paralizzanti; quando invece è urgente l’unità, il mescolamento delle persone e la loro possibilità e capacità di contribuire in modo determinante alle decisioni. Questa è la sola via per costruire una alternativa, per non guardarsi ognuno allo specchio, per guardare cosa c’è intorno e quali trasformazioni maturano. Il governo Letta congela una intesa tra avversari sulla gestione del presente. Ma poi? Alla fine, il primo che sarà convinto di vincere staccherà la spina. Il rischio è, se non elaboriamo e guardiamo in faccia le novità, che a farlo sia proprio la destra, favorita dal fatto di poter agire, oggi, separata per colpire domani unita.
di Nicola Zingaretti (presidente (Pd) della regione Lazio)


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