La gaffe del ministro tecnico

Redazione

Al ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, non si chiese certamente poco quando il governo Letta si insediò, lo scorso aprile. Con la sapienza tecnica che gli era unanimemente riconosciuta, l’ex numero due della Banca d’Italia avrebbe dovuto cogliere i frutti più immediati della pacificazione transitoria imposta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Pd e Pdl. Le larghe intese nascevano infatti con l’urgenza delle grandi riforme economiche, quelle “strutturali”, quelle che a elencarle ormai viene quasi noia, quelle che chiede il buon senso ancor prima che la comunità internazionale.

    Al ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, non si chiese certamente poco quando il governo Letta si insediò, lo scorso aprile. Con la sapienza tecnica che gli era unanimemente riconosciuta, l’ex numero due della Banca d’Italia avrebbe dovuto cogliere i frutti più immediati della pacificazione transitoria imposta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Pd e Pdl. Le larghe intese nascevano infatti con l’urgenza delle grandi riforme economiche, quelle “strutturali”, quelle che a elencarle ormai viene quasi noia, quelle che chiede il buon senso ancor prima che la comunità internazionale. A Saccomanni insomma non si chiedeva poco, ma ora si può pure dire con tranquillità che egli non abbia fatto molto. Le mancate riforme si potranno imputare a tutto l’esecutivo e a tutto il Parlamento, non c’è dubbio, tuttavia molti degli inutili attriti interni alla maggioranza sono figli della superbia di chi – dal ministero dell’Economia – ha pensato di poter scavalcare accordi prettamente politici (come quelli sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa) a suon di quisquiglie tecniche e di resistenze burocratiche. Parliamo dello stesso ministro Saccomanni che invece non ha voluto (o saputo) fare uso della baldanza tecnocratica che da lui era lecito attendersi nella scrittura della Legge di stabilità né ha saputo allestire previsioni quanto più rigorose possibili sugli andamenti macroeconomici del paese. Al punto che, prim’ancora del passaggio parlamentare, la manovra finanziaria italiana è stata respinta con perdite dall’Unione europea che pure farebbe di tutto per non destabilizzare il docile Letta. (Né adesso ci salveranno, come anticipato dal Foglio e confermato dal commissario Olli Rehn a Repubblica, due conferenze stampa su spending review e privatizzazioni). Insomma, da Saccomanni ci si attendeva maestrìa tecnica, e finora tanta maestrìa non si è vista.

    Quel che certamente al ministro non si chiedeva, nemmeno da parte del Quirinale che fortemente lo volle, era il professionismo politico. Tale abilità, pur necessaria e che solo gli snob disprezzano, era infatti presente in abbondanza nel trasversalissimo Letta. Eppure Saccomanni, negli ultimi giorni, s’è atteggiato proprio a politicante di risulta, scegliendo l’autorevole tribuna del Wall Street Journal – invece che per spiegare agli investitori internazionali quanto fatto e annunciare il da farsi – per esternare in maniera banalotta e spericolata. Così, proprio mentre il presidente del Consiglio Letta faceva appello a Forza Italia e al suo leader per marciare uniti sulle riforme istituzionali, il suo ministro non ha trovato di meglio da fare che sostenere che l’espulsione di Berlusconi dal Parlamento faciliterà l’approvazione delle riforme. Una vulgata illogica, anti storica e che suona ancora più grottesca in bocca a un ex supertecnico della Banca d’Italia. Caro ministro, il professionismo politico non è indispensabile, a patto di non mettersi a fare politica.