
Trasformazioni e mutanti
Arriva la banda dei néocon in salsa francese, antiliberali e nazionalisti
I tormenti economici nel Vecchio continente hanno indotto parecchi ripensamenti nel conservatorismo europeo. La conservatrice più forte dell’Europa, la cancelliera tedesca Angela Merkel, si appresta a un’altra convivenza al governo con i socialdemocratici. Il quieto premier spagnolo, Mariano Rajoy, sta rimettendo in sesto l’economia del suo paese, senza troppe dichiarazioni ideologiche e con molte iniziative concrete.
I tormenti economici nel Vecchio continente hanno indotto parecchi ripensamenti nel conservatorismo europeo. La conservatrice più forte dell’Europa, la cancelliera tedesca Angela Merkel, si appresta a un’altra convivenza al governo con i socialdemocratici. Il quieto premier spagnolo, Mariano Rajoy, sta rimettendo in sesto l’economia del suo paese, senza troppe dichiarazioni ideologiche e con molte iniziative concrete. Nel Regno Unito che da sempre tenta di prendere le distanze dal continente, il governo di David Cameron raccoglie i primi frutti di un’austerità che s’annuncia “permanente” (anche se a Londra l’ideologo dei Tory è il sindaco, Boris Johnson, che mercoledì, all’annuale Margaret Thatcher Lecture, ha fatto un appello provocatorio ai “Gordon Gekko della City” perché usino tutta la loro “avidità per promuovere la crescita economica”). Nella Francia guidata dal socialista François Hollande, sono invece tornati i “néocon”, in versione francese 2013, come li lancia il magazine Point sulla copertina del numero in edicola da ieri. I neocon americani, i liberal assaliti dalla realtà negli anni Settanta, non c’entrano nulla, e non c’entrano nemmeno i “néocon” francesi del 2007, come furono chiamati gli intellettuali di sinistra che si lasciarano sedurre dal riformismo dell’ex presidente Nicolas Sarkozy. Il contesto ideologico di questo neoconservatorismo, scrive il Point, risponde più “alla definizione che ne ha dato lo storico Zeev Sternhell: ‘Il nemico dei neoconservatori non è né lo statalismo né il socialismo, ma il liberismo’”.
Il precursore del movimento trasversale, da destra a sinistra, è Jean-Pierre Chevènement, conosciuto come “il Che” (pronuncia “scè”), con François Mitterrand nel 1971 al congresso di Epinay ma da sempre in contrasto con qualsiasi virata liberale, reale o presunta. Dopo la battaglia contro il trattato di Maastricht al referendum del 1992, il Che lasciò il Ps per organizzare una resistenza antieuropea e antiliberale in seno alla sinistra. Attorno a lui si muove quella che il Point definisce “la galassia Maginot” e che conta tra i néocon principalmente Marine Le Pen (il suo vice, Florian Philippot, in grande ascesa nel Front national, nel 2002 animava i comitati che sostenevano la candidatura all’Eliseo di Chevènement), che si augura che un giorno qualche alto dirigente francese dica “merde à Bruxelles” ed è la regina del sovranismo totale. C’è Patrick Buisson, l’intellettuale che nasce in territorio del Fn e che ha consolidato il “ritorno a destra” di Sarkozy nella sua campagna (disastrosa) per la rielezione. Tra i sarkozisti c’è anche Henri Guaino, la “plume” dell’ex presidente, che non vuole l’uscita dall’euro ma una guerra contro la Germania magari sì. Se l’icona è quell’Eric Zemmour che nasce a sinistra ma ora è il più popolare critico della gauche benpensante come dell’establishment moderato dell’Ump, il cerchio di questi néocon nazionalisti si chiude con Arnaud Montebourg, ministro dello Sviluppo economico nell’attuale governo, paladino del made in France, della demondializzazione (ci ha scritto anche un libro, un paio di anni fa), dell’antieuropeismo, dell’antifinanza. A differenza degli altri néocon, Montebourg non è contro il suo capo, ma per il resto anche lui vorrebbe la sua Francia barricata dietro alla linea Maginot.
Mangiano e si divertono anche, questi néocon. Nella sua famosa sala da pranzo, Paul-Marie Coûteaux tesse la tela del nazionalismo al potere, mentre tutti leggono “Impasse Adam Smith” del filosofo anticapitalista “criptomarxista” Jean-Claude Michéa, uscito nel 2006 e ancora oggi citato come manifesto della lotta al “liberismo libertario”.


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