Il falso magro e il vero poeta. Crespo pronto per la Rai

Jack O'Malley

Il derby del Merseyside di sabato (per i profani, Everton-Liverpool) sarebbe da far vedere a ripetizione nelle scuole calcio di mezzo mondo. In quei novanta minuti folli c’è tutto quello che di giusto e di sbagliato può esserci in una partita di calcio. Falli cattivi, schemi su calci piazzati, contropiede fulminanti, grinta, distrazioni, voglia di vincere, paura di perdere, desiderio di ribaltare il risultato e timore di essere recuperati, sfiga, culo, tecnica, errori e capolavori. Il match è finito 3-3, e i Reds devono ringraziare la vena di Suárez (che finalmente viene anche abbracciato dai compagni dopo un gol) e l’istinto di Sturridge, che al primo pallone sfiorato di testa ha chiuso la partita.

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    Londra. Il derby del Merseyside di sabato (per i profani, Everton-Liverpool) sarebbe da far vedere a ripetizione nelle scuole calcio di mezzo mondo. In quei novanta minuti folli c’è tutto quello che di giusto e di sbagliato può esserci in una partita di calcio. Falli cattivi, schemi su calci piazzati, contropiede fulminanti, grinta, distrazioni, voglia di vincere, paura di perdere, desiderio di ribaltare il risultato e timore di essere recuperati, sfiga, culo, tecnica, errori e capolavori. Il match è finito 3-3, e i Reds devono ringraziare la vena di Suárez (che finalmente viene anche abbracciato dai compagni dopo un gol) e l’istinto di Sturridge, che al primo pallone sfiorato di testa ha chiuso la partita. Poco prima Lukaku aveva fatto godere non poco i tifosi dell’Everton portando i Toffees dall’1-2 al 3-2. Record di unghie mangiate a Goodison Park, come nemmeno a un consiglio di presidenza del Pdl. Rovina tutto Hernán Crespo, il quale – mi è stato riferito – a fine partita su Fox Sport Italia commenta: “Oggi ha vinto il football”. Ed è subito Rai Sport.

    La scelta civica di Villas-Boas. Il Kun Agüero ha segnato più gol in questa stagione di tutti quelli fatti dal Tottenham, ma almeno gli Spurs si erano presentati all’Etihad Stadium con la miglior difesa della Premier. L’illusione di essere una di quelle squadre di ascendenza mourinhana che fa pochi gol ma ne prende ancora meno è durata quindici secondi, giusto il tempo di un rinvio fantozziano del portiere punito seduta stante da un gioiello di Jesús Navas. In quel momento è stato chiaro anche ai meno perspicaci che il nome di Villas-Boas può essere accostato a quello del condottiero di Setúbal soltanto nel contesto di una barzelletta. L’allenatore portoghese è così irrilevante che sta meditando di fondare un partito di centro per mettere le sue doti al servizio della politica. Gli Spurs non hanno perso, sono stati umiliati senza pietà con sei gol che sarebbero potuti tranquillamente diventare otto se a un certo punto Agüero e Nasri, annoiati, non si fossero messi a fare a gara di pallonetti. Ci fosse stato ancora Balotelli avrebbe sbagliato un rigore, questa volta apposta, per esagerare il senso di superiorità. I tifosi del City non aspettavano occasione migliore per fare in massa il gesto del cuore, quello di Bale, la stella che ha lasciato gli Spurs per inseguire le false promesse di un campionato minore. E lasciare la sua squadra nella shit.

    Lo spirito del ’92. Mentre voi in Italia vi chiedete pensosi se Checco Zalone sia cinema o spazzatura da circa un mese, nelle sale inglesi si attende trepidanti l’arrivo di “Class of ’92”, il documentario sui sette anni che hanno cambiato il calcio sull’Isola e nel continente. Protagonisti David Beckham, Nicky Butt, Ryan Giggs, Gary Neville, Phil Neville e Paul Scholes, il film racconta le loro storie dal 1992 alla finale di Champions del 1999, quella del 2-1 al Bayern nei due minuti di recupero finali. Consiglio a David Moyes, manager dei Red Devils, di portare in massa i suoi ragazzi a vedere “Class of ’92”: forse osservare i loro predecessori battere chiunque eviterà altre figure barbine come quella contro il Cardiff di domenica pomeriggio. La squadretta gallese, tornata in Premier League quest’anno dopo 51 stagioni, ha impensierito i Red Devils quanto un’inchiesta scomoda di Stella e Rizzo. Per un giorno famosi non solo per le miniere, il porto e i castelli, i ragazzi di Cardiff hanno anche dimostrato un senso del fair play che farebbe felice Blatter. A inizio partita Rooney ha fatto un’entrata in pieno stile Materazzi, ma è stato soltanto ammonito. Proteste del pubblico e colpetti imbarazzati di tosse dei telecronisti. Poco dopo Wayne l’ha messa dentro per il momentaneo 0-1. A match terminato, forte dell’onorevole 2-2 conquistato contro i campioni in carica, il manager dei gallesi ha detto che l’arbitro ha fatto bene a non espellere l’attaccante dello United, che certo il rosso ci poteva stare ma va bene così. Se fossimo in Italia l’allenatore si lamenterebbe fino a fine stagione dell’episodio contrario, e l’arbitro verrebbe fucilato da Quarantino Fox nella rubrica qui accanto.
    P. S. Ieri era l’anniversario della morte di George Best. Qui si è stappata una bottiglia in suo onore. Cheers, mate.

    Sette chili in sette giorni. Leggo che Antonio Cassano ha deciso per l’ottava volta in carriera di dimagrire e mettere la testa a posto. La cosa che mi meraviglia è che ci siano ancora giornalisti che danno credito a questo eterno ritorno dell’identico. Quando andò alla Sampdoria tutti dissero che avrebbe perso i chili di troppo e che – complici l’amore e le minori pressioni ambientali – sarebbe tornato sulla retta via. Lasciò Genova dopo un paio di scenate isteriche e insulti al presidente. Stessa storia al Milan, dove ha giocato mezza stagione per poi ricominciare a ingrassare e insultare tutti. All’Inter giurò amore eterno quasi come Tévez al Manchester United o Van Persie all’Arsenal e ha lasciato nella storia nerazzurra più o meno lo stesso segno che ha lasciato Rambert. Da prosciuttone quale è, Fantantonio quest’anno è giustamente andato a giocare a Parma, dove dopo un inizio quasi anonimo ha avuto la fortuna di segnare un gran gol al Napoli, che da una decina di giorni somiglia più al carrello dei bolliti che a una squadra. L’esultanza dopo il gol, ai limiti dell’embolia, dice che il lavoro del dietologo è ancora lungo. Comprensibile che Donadoni si sia lasciato andare ai luoghi comuni commentando la sua prova: “Se continua così saprà ritagliarsi uno spazio importante in Azzurro”. Se non manda a fanculo il dietologo prima di giugno.

    La poesia del calcio. Aldo Serena non è certo un punto di riferimento dei romantici del calcio, quelli dell’attaccamento immortale alla maglia, ma da quando lo seguo su Twitter ho scoperto un’insospettabile vena poetica e fotografica. Serena passa senza soluzione di continuità dalle balaustre degli stadi alle mulattiere alpine, contempla le gocce di rugiada, ama “camminare nei boschi quando ci sono tagli di luce potenti”. Quando mette piede in un campo da calcio nel prepartita, con lo stadio leopardianamente vuoto (“cattedrale pagana”), si sofferma sulle perfette simmetrie del manto erboso e sui rimandi metafisici che inevitabilmente suggeriscono (“religioso silenzio”). In lontananza attaccano le note ferite di una vecchia canzone dei Pink Floyd. Poi, vero professionista, torna a scrivere che il campionato è ancora lungo e altri luoghi comuni del telecronista collettivo. Serena è così, un po’ Thoreau un po’ Pippo Inzaghi, poeta del calcio parlato ed elfo silvano che si perde per i boschi nel primissimo mattino. Non capivo come queste due anime potessero convivere, poi – dopo aver letto un profondo scambio fatto di “Ciao Aldo, che bella foto”, “Ciao Gianni, ti seguo sempre” – ho notato che Serena segue sempre, parole sue, Gianni Riotta, e tutto si è chiarito.

    Trapianti e risate. Negli anni Cinquanta l’Inghilterra giocava con stile e modulo adatti al calcio di vent’anni prima, i giocatori erano fuori forma e tutto sommato mediocri. Così dice Gusztáv Sebes, allenatore dell’Ungheria, nei suoi appunti ritrovati di recente a proposito della prima sconfitta casalinga nella storia della squadra di Sua Maestà. Era il 1953 e ancora quell’episodio fa male. Non mi soffermerò qui sui successivi risultati né sul presente della Nazionale ungherese, ché sarebbe un gesto indegno di un gentleman. Guardare vecchie foto in bianco e nero mi ha fatto notare però quanto la calvizie fosse una merce comune in quel calcio primitivo e stilisticamente autentico. I giocatori ricordavano più Attilio Lombardo che Ruud Gullit. Adesso persino Antonio Conte potrebbe pettinarsi come Hamsik. David Platt si è appena sottoposto al trapianto, e non mani d’uomo ma tentacoli meccanici si sono affannati sulla sua cute in via di desertificazione. Fra tre mesi dicono che sarà identico sputato a Dante de Blasio, il figlio del nuovo sindaco di New York. Un’altra immagine che mi ha colpito nel fine settimana è quella dello svenimento di Legrottaglie, che ha regalato un gol al Torino con un gesto inconsulto e inspiegabile. Più che uno scivolone sembra una crisi mistica, cosa non improbabile per un atleta di Dio. Chissà quanto è forte l’ex juventino in Fifa 2014, videogioco che è arrivato a livelli tali di precisione che ormai i giocatori possono confrontarsi fedelmente con il loro doppio virtuale. Qualcuno ci rimane pure male tipo Romelu Lukaku, attaccante dell’Everton che effettivamente è una specie di Usain Bolt del calcio, mentre nel videogioco gli è stato assegnato un punteggio di 85 su 100 nell’accelerazione: “Spero di non essere l’unico che l’ha notato, ma non penso di essere abbastanza veloce su Fifa…”, ha detto. Un editorialista di Repubblica scriverebbe che certamente è un caso di discriminazione razziale-virtuale (non territoriale in questo caso), roba da chiusura immediata di tutte le curve d’Europa.

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