
Colloquio con Finkielkraut
L'identità infelice di una Francia che “sta morendo voluttuosamente”
L’ultimo libro del filosofo francese Alain Finkielkraut, “L’identité malheureuse” (Editions Stock), l’identità infelice, è già in cima alle classifiche delle vendite. Il Point, autorevole settimanale parigino, gli dedica la copertina: “Si può ancora essere francesi?”. E la fotografia di Finkielkraut. Il 10 ottobre l’intellettuale ha tenuto il discorso d’addio alla prestigiosa Ecole polytechnique di Parigi, uno degli istituti di formazione più prestigiosi al mondo dove Finkielkraut ha insegnato Scienze sociali dal 1988. Al suo arrivo, un gruppo di studenti lo ha “entarté”, preso a torte in faccia. Il giornalista Claude Askolovitch, fra gli altri, gli ha dato del “razzista”.
Leggi l'editoriale La coscienza dei sindaci francesi
L’ultimo libro del filosofo francese Alain Finkielkraut, “L’identité malheureuse” (Editions Stock), l’identità infelice, è già in cima alle classifiche delle vendite. Il Point, autorevole settimanale parigino, gli dedica la copertina: “Si può ancora essere francesi?”. E la fotografia di Finkielkraut. Il 10 ottobre l’intellettuale ha tenuto il discorso d’addio alla prestigiosa Ecole polytechnique di Parigi, uno degli istituti di formazione più prestigiosi al mondo dove Finkielkraut ha insegnato Scienze sociali dal 1988. Al suo arrivo, un gruppo di studenti lo ha “entarté”, preso a torte in faccia. Il giornalista Claude Askolovitch, fra gli altri, gli ha dato del “razzista”.
“La Francia non è mai stata multiculturalista”, spiega al Foglio Finkielkraut. “La Francia è sempre stata assimilazionista, che è un’altra cosa, ovvero ha inculcato l’assimilazione in nome della laicità. Ma ora è in corso una rivoluzione imposta dall’islam e dalla sinistra benpensante, quella parte della sinistra che ho chiamato ‘gauche divine’, sinistra divina. E’ il paradosso della gauche che, in nome della laïcité, decostruisce il repubblicanesimo e abbraccia il multiculturalismo. E’ una ‘dis-identificazione’”. E’ l’avvento dell’uomo “democratico”.
Il libro è una critica all’idea di nazione come “aeroporto”. Figlio di ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio, l’ex sessantottino Finkielkraut nel libro attacca la “cultura del piagnisteo”, quella che definisce “l’esperanto dei lamenti”. Al Foglio, Finkielkraut spiega che viviamo nell’èra della “insicurezza culturale”. “Il mio amore per la Francia è per qualcosa che può perire, qualcosa di fragile. E’ bello vivere nella Francia laica, ma c’è una cultura religiosa che ha prodotto tanta bellezza e che ti riempie della gratitudine di vivere qui. I sostenitori del ‘matrimonio per tutti’ rifiutano la Francia dei campanili e dei maschi bianchi, eterosessuali e cattolici. Questo atteggiamento, assieme al rifiuto di assimilare un gran numero di immigrati, mi ha indotto a realizzare cosa sia la Francia per me”.
Il Front National? “Infrequentabili”
E’ molto duro Finkielkraut sulle attuali politiche di immigrazione, come già lo fu all’epoca degli scontri nelle banlieue: “Per la prima volta nella storia dell’immigrazione, l’ospite rifiuta di essere accettato”, dice Finkielkraut. “Siamo passati da una immigrazione per lavoro a una immigrazione famigliare. Io sono tornato a parlare di identità grazie a coloro che hanno dichiarato la propria ostilità al paese che li ha accolti. Sotto il principio della ‘non discriminazione’, la Francia sprofonda voluttuosamente nell’indifferenziato. In un’uguaglianza totale. L’identità non è un determinismo. Ma la diversità è idilliaca soltanto nei supermercati”.
Finkielkraut sostiene che, lentamente, si sta introducendo un principio totalitario nel discorso pubblico. E’ la cosiddetta “islamofobia”, un nuovo crimine ideologico. “Con questa parola si sottomette la Repubblica alle leggi islamiche, a un’idea di coesistenza dei sessi basata sulla separazione. L’assimilazione è stata sostituita prima dalla parola ‘integrazione’ e adesso dalla ‘inclusione’”. Per il libro, Finkielkraut è stato accusato di lepenismo e di essere consentaneo al Front national di Marine Le Pen, fortissima nei sondaggi (data al 24 per cento delle intenzioni di voto per le prossime europee). Lui rifiuta l’etichetta: “Sono persone infrequentabili, l’estrema destra si è arrogata il monopolio del dibattito sull’identità”. E poi soffrono di “pregiudizio etnocentrico”, intollerabile all’ebreo Finkielkraut.
Ma la minaccia principale resta quella che chiama la “lingua di legno” e il “pensiero unico” di questa gauche. Perché “il confine fra ‘politicamente corretto’ e ‘politicamente abietto’ è molto sottile”.
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