Un emerito da fantascienza

Roberto Volpi

Piergiorgio Odifreddi scrive un libro “Caro Papa ti scrivo”, uscito per i tipi di Mondadori nel 2011, dunque chiaramente indirizzato al Papa di allora, oggi Papa emerito, Benedetto XVI. “Una luciferina introduzione all’ateismo” – recita il sottotitolo di copertina, cosicché ciascuno capisca cos’ha da aspettarsi dalla lettura delle sue pagine. Del resto, chi non conosce l’ateo Odifreddi? Il matematico che ce l’ha a morte con tutti i credo religiosi, ma con il cristianesimo in modo così particolare da essersi spinto a ricercare la radice linguistica di cristiano in “cretino” o, il che è sostanzialmente la stessa cosa, l’etimologica discendenza del secondo dal primo?

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    Il caso. Piergiorgio Odifreddi scrive un libro “Caro Papa ti scrivo”, uscito per i tipi di Mondadori nel 2011, dunque chiaramente indirizzato al Papa di allora, oggi Papa emerito, Benedetto XVI. “Una luciferina introduzione all’ateismo” – recita il sottotitolo di copertina, cosicché ciascuno capisca cos’ha da aspettarsi dalla lettura delle sue pagine. Del resto, chi non conosce l’ateo Odifreddi? Il matematico che ce l’ha a morte con tutti i credo religiosi, ma con il cristianesimo in modo così particolare da essersi spinto a ricercare la radice linguistica di cristiano in “cretino” o, il che è sostanzialmente la stessa cosa, l’etimologica discendenza del secondo dal primo? Poi succede che, dopo le sue clamorose dimissioni, il matematico e ateo Odifreddi riesca a far avere a Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, tramite interposta persona, un arcivescovo, il suo libro. Anche gli atei più duri hanno un cuore e poi, confessa il nostro, lasciandosi sfuggire un tocco di narcisismo intellettuale: “Dopo aver letto la sua [di Ratzinger] ‘Introduzione al cristianesimo’ (…) avevo capito  che la fede e la dottrina di Benedetto XVI, a differenza di quelle di altri, erano sufficientemente salde e agguerrite da poter benissimo affrontare e sostenere attacchi frontali”. Confessa anche, Odifreddi, di aver abbassato i toni sarcastici di altri saggi, nello scriverlo, proprio per favorire “la pur remota possibilità che un giorno il destinatario potesse effettivamente riceverlo”. Possibilità che non solo si realizza ma porta alla risposta di Benedetto XVI, recapitata per posta il 3 settembre, sotto forma di 11 pagine protocollo datate 30 agosto, a un Piergiorgio Odifreddi a questo punto francamento basito e incerto sul che fare. Tant’è che la pubblicazione di stralci del testo ratzingeriano appaiono su Repubblica soltanto il 24 settembre, quand’egli è ormai sicuro che Benedetto XVI non ha niente in contrario alla pubblicazione, preceduti da una sua introduzione  (la stessa dalla quale ho tratto le notizie che leggete). Il testo integrale della risposta del Papa emerito, anticipa in ultimo Odifreddi, verrà pubblicata a breve in una nuova edizione di “Caro Papa ti scrivo”, “sfrondata delle parti sulle quali lui ha deciso di non soffermarsi, e ampliata  con un resoconto della nascita e degli sviluppi di quello che risulta essere un unicum nella storia della Chiesa: un dialogo tra un papa teologo e un matematico ateo. Divisi in quasi tutto, ma accomunati almeno da un obiettivo: la ricerca della Verità, con la maiuscola”.

    Si fosse riferito a Papa Francesco avrei detto che la ricerca della Verità con la maiuscola non li avrebbe tanto accomunati quanto prevedibilmente divisi, ma trattandosi di Ratzinger quella affermazione credo possa passare. Un po’ enfatica, ma l’enfasi in Odifreddi è parte del personaggio, dello scrittore, del matematico, dell’ateo, insomma di tutto di lui. E però è curioso, anzi è formidabile, che la parte più agguerrita della risposta di Benedetto XVI apparsa su Repubblica abbia per tema qualcosa che con la Verità con la maiuscola sembra entrarci abbastanza di straforo, se pure in qualcosa c’entra: la fantascienza. “Ella mi fa notare che la teologia  sarebbe fantascienza”, dice infatti Ratzinger a Odifreddi. E contrattacca. “Mi permetta di proporre, in merito a tale questione quattro punti”.

    Trattandosi di Ratzinger  i quattro punti sono, inutile aggiungere, alquanto “puntuti”. Ma l’ultimo, il quarto, è anche particolarmente gustoso, e recita così: “La fantascienza esiste, d’altronde, nell’ambito di molte scienze. Ciò che Lei espone sulle teorie circa l’inizio e la fine del mondo in Heisenberg, Schrödinger ecc., lo designerei come fantascienza nel senso buono: sono visioni e anticipazioni per giungere ad una vera conoscenza, ma sono, appunto, soltanto immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà. Esiste, del resto, la fantascienza in grande stile proprio anche all’interno della teoria dell’evoluzione. Il gene egoista di Richard Dawkins è un esempio classico di fantascienza. Il grande Jacques Monod ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza. Cito: ‘La comparsa dei Vertebrati tetrapodi… trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo scelse di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari…’ (citato secondo l’edizione italiana ‘Il caso e la necessità’, Milano 2001, pagg. 117 e sgg.)”.

    E così se Odifreddi – che pensa che la teologia sia nient’altro che fantascienza –  gli dà, almeno implicitamente, in quanto teologo, dello scrittore di fantascienza, ecco Joseph Ratzinger ribattergli per le rime che la fantascienza “esiste nell’ambito di molte scienze”.  E citare esempi di teorie fisiche sull’inizio e la fine del mondo che nient’altro sono se non “fantascienza in senso buono”. Per passare poi alla “fantascienza in grande stile” che esiste in campo evoluzionistico. Fino a quell’“esempio classico di fantascienza” che è “Il gene egoista” di Richard Dawkins, per chiudere con un passo  che il “grande Monod” avrà inserito nella sua opera (il celeberrimo “Il caso e la necessità”), dice ancora Ratzinger, “sicuramente solo come fantascienza”. E in effetti il passo sopra riportato sembra quello di uno scrittore di fantascienza che non si preoccupi affatto di spararle grosse.

    Ratzinger scrive sul filo di una divertita ironia, è chiaro. Che non sfuggirà sicuramente a Odifreddi. Caro il mio scienziato che mi dà del “facitore di fantascienza”, sembra dirgli, ma perché non guarda intanto a tutte le bubbole fantascientifiche che si inventano nel suo “cortile”? Monod era pur “grande”, non si discute, ma quella che presenta come evoluzione del pesce “primitivo” che diventa tra un saltello maldestro e l’altro un tetrapode dagli arti robusti non sa tanto di favoletta che si racconta ai bambini per aiutarli a prender sonno?

    Ratzinger, mi sembra evidente, ha a cuore proprio la teoria dell’evoluzione. E non per bollarla tutta come fantascientifica, ci mancherebbe, ma per metterne in evidenza, con due tocchi, due soli esempi, gli aspetti irrisolti. Che, come tali, continuano a gettare ombre, ombre dal sapore di fantascienza, sulla teoria nel suo insieme.
    Richard Dawkins è il campione mondiale della visione dell’evoluzione come dominio indiscusso dei geni e gran sacerdote della “genomania”. Secondo il suo pensiero nella trasmissione ereditaria dei caratteri che avviene con la riproduzione sessuale il gene buono, quello favorevole che porta a miglioramenti adattativi, non fa che trasmettersi proprio grazie al suo ”egoismo”,  l’egoismo del gene che vuole non solo sopravvivere ma ampliare il proprio dominio, ovvero la diffusione di se stesso, di discendenza in discendenza e favorendo appunto quest’ultima in quanto discendenza di sé.  L’organismo, il fenotipo, insomma anche tutti noi non saremmo che i contenitori del contenuto genico, custodi e protettori che con le nostre vite ci incarichiamo di assicurargli discendenza, diffusione e vittoria. Capolavoro di fantascienza, dice Ratzinger, costruzione favolistica – aggiungiamo – pensata da un cervello, quello di Dawkins, che legge se stesso come puro sottoprodotto di minuziose guerre molecolari di dominio e spericolatezza, impedendosi così ogni proficua strada verso la spiegazione razionale del suo formidabile successo in quanto cervello ch’è approdato, unico nel regno dei viventi, alla coscienza e al pensiero simbolico astratto. E pure a queste tanto raffinate quanto stravaganti pensate, ovviamente.
    Jacques Monod è un grande, lo dice lo stesso Ratzinger. Ma può un grande scienziato banalizzare a tal punto il racconto evolutivo? E, se sì, non sarà perché un po’ – e forse qualcosa di più di un po’ – di fantascienza aiuta, quando si debbono mettere a posto tasselli che non  ne vogliono sapere di innestarsi sul grande tronco del neodarwinismo, ch’è coniugazione di evoluzionismo e genetica? Il “pesce primitivo” esce dall’acqua. Dire che fuori dall’acqua ci sta scomodo, scomodissimo, sciaguratamente a disagio, come ciascuno non faticherà a immaginare, è dire niente. Non c’è una sola ragione al mondo perché debba restarci, meno che meno millennio dopo millennio, milione d’anni dopo milione d’anni, fintantoché, grazie alla pressione che il suo ininterrotto sacrificarsi esercita sull’ambiente, non costringe il caso a munirlo – una mutazione oggi e un’altra domani e una ennesima chissà quando, casualmente distribuite nella riproduzione sessuale di processioni interminabili di generazioni – degli “arti robusti dei tetrapodi” consoni alla sfida ambientale.

    La verità, sembra dunque dire Ratzinger a Odifreddi, è che la teoria dell’evoluzione non sa rendere conto scientificamente né del passaggio alla coscienza né dei grandi salti di specie. E per farlo deve arrangiarsi alla bell’e meglio, non raramente buttandola in fantascienza. L’evoluzione darwiniana spiega il miglioramento della specie, il suo continuo adattamento all’ambiente, la sua sempre più spiccata capacità di integrarsi in esso, di esserne parte e al contempo artefice, perché il suo adattamento non è soltanto  un prendere, ma anche un dare all’ambiente, che così, in questa interazione, non sarà mai lo stesso. Ma se deve spiegare come si passa da una specie a un’altra differente, soprattutto se molto differente, eccola entrare in difficoltà pressoché insormontabili. Non per niente Stephen Jay Gould elaborò con Niles Eldredge la teoria degli equilibri puntuati o punteggiati, che portava in auge quel che gli evoluzionisti duri e puri non volevano neppure sentir nominare, ovvero il concetto che la natura fa i salti, eccome. Ma quali centellinati  aggiustamenti di mutazione in mutazione, ci vuole ben altro per spiegare la molteplicità straordinaria, e la correlata diversità, dei viventi. E così il grande paleontologo e formidabile divulgatore, anche a seguito di una scoperta raccontata nel libro “La vita meravigliosa”, individua nel Cambriano, oltre cinquecento milioni di anni fa, il “via” di tutti i più importanti tipi di organizzazione anatomica sviluppatisi nello stretto giro di alcuni milioni di anni grazie a meccanismi evolutivi “altri” rispetto alla selezione naturale darwiniana e che ne riducevano enormemente l’importanza.

    E ancora qui stiamo, in un certo senso, ai nostri giorni. I grandi avanzamenti non sono che variazioni sul tema. E il tema continua ad essere il miglioramento della specie, l’adattamento della specie. Piuttosto che non il processo di speciazione, spiegato oggi come cinquant’anni fa con derive demografiche e isolamento di popolazioni, per un lato, disponibilità per il cambiamento genetico e la trasformazione embriologica degli individui, per l’altro. Troppo poco, dannatamente troppo poco per non avere bisogno di ricorrere a qualche dose, più o meno massiccia, più o meno dissimulata, di fantascienza per poter affermare la perfetta tenuta del neodarwinismo e della teoria dell’evoluzione.

    Gioco scoperto, per uno come Ratzinger. Stia attento il matematico ateo Odifreddi a non sbatterci il muso contro. Che la scienza contenga  un bel po’ di fantascienza, e che non possa neppure farne a meno per star salda in piedi, e reggere al tempo stesso il confronto con la teologia, è una verità che potrebbe diffondersi. E fare male a molti (scienziati). Ma bene a tutti quanti gli altri – che sono molti di più. Un motivo in più per tifare affinché ci sia magari il secondo round di un appuntamento che non era in alcun modo prevedibile e che, se posso esprimere un parere personale su così alta questione, mi sembra molto più centrato e definito, in certo senso più accorto e raccolto, dello “smisurato” confronto Scalfari-Papa Francesco.

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