
Ignaziani molto di sinistra
Finora, nelle loro intemerate contro tradizionalisti e centralismo romano, davanti al Papa si erano sempre fermati. Dopotutto, il voto d’obbedienza del soldato d’Ignazio verso il Pontefice Massimo vale ancora. Ma il cieco destino ha voluto che a essere rispettosamente rampognato da “America”, la rivista dei gesuiti d’oltreoceano stampata a New York e d’orientamento ultra liberal, fosse proprio il primo Papa proveniente dalla Compagnia. D’altronde, sul New York Times di domenica scorsa, Ross Douthat l’aveva in qualche modo predetto: cercare di stare in mezzo tra rigoristi e progressisti, accomodandosi al mondo per conquistarlo con la forza dell’attrazione, può comportare seri rischi.
Finora, nelle loro intemerate contro tradizionalisti e centralismo romano, davanti al Papa si erano sempre fermati. Dopotutto, il voto d’obbedienza del soldato d’Ignazio verso il Pontefice Massimo vale ancora. Ma il cieco destino ha voluto che a essere rispettosamente rampognato da “America”, la rivista dei gesuiti d’oltreoceano stampata a New York e d’orientamento ultra liberal, fosse proprio il primo Papa proveniente dalla Compagnia. D’altronde, sul New York Times di domenica scorsa, Ross Douthat l’aveva in qualche modo predetto: cercare di stare in mezzo tra rigoristi e progressisti, accomodandosi al mondo per conquistarlo con la forza dell’attrazione, può comportare seri rischi. “America” vorrebbe di più, dal suo Papa. Vorrebbe che chiudesse per sempre e in modo chiaro con le schiere angeliche a difesa dei valori non negoziabili, che mettesse a tacere i vescovi capitanati da Timothy Dolan che da anni lottano, con le baionette innestate sui pulpiti, contro le riforme liberal di Barack Obama. Proprio sul provvedimento più discusso del presidente dem, l’Obamacare, “America” aveva lanciato l’anatema contro i vescovi intransigenti: “Si rileggano la Deus Caritas Est”, aveva tuonato, ricordando che in quell’enciclica ratzingeriana è scritto nero su bianco che “la dottrina sociale cattolica non vuole conferire alla chiesa un potere sullo stato”. I gesuiti della East Coast tiravano in ballo la libertà di coscienza, il suo primato, dicevano che “sbarrare il finanziamento per la contraccezione è un’opposizione politica, non morale”. Invitavano a fare i conti con la realtà, che con la “chiamata in causa della libertà religiosa non si fa altro che un cattivo servizio alle vittime della vera persecuzione religiosa nel mondo”.
Ma “America” è anche la rivista che, tramite padre James Martin, tra le sue firme più prestigiose, definì “figure eroiche” le suore in tailleur e ballerine che vorrebbero la messa celebrata da donne e che sull’aborto, tutto sommato, pensano si possa pure discutere. Così come su nozze omosessuali ed eutanasia. Padre Martin si scagliava contro l’ex Sant’Uffizio, che aveva imputato alle religiose ribelli “un femminismo radicale incompatibile con la fede cattolica”. Queste donne, diceva l’editorialista gesuita, “servono generosamente Dio, i poveri e il paese”. Che poi abbiano di quel Dio una concezione particolare e lontana dalla dottrina cattolica (così stabilì la commissione dottrinaria della chiesa americana), pazienza. Troppo rigore, troppi dogmi e decreti: al mondo bisogna aprirsi, bisogna farci i conti e scendere a patti. Meno guerre razionali e più accomodatio, come insegna la missionarietà ignaziana. Concetti che aveva ben capito pure Roger Haight, teologo condannato da Roma e interdetto dall’insegnamento per aver usato un metodo teologico che di fatto subordinava il depositum fidei alla sua accettabilità da parte della cultura postmoderna. Nonostante la sanzione comminata da Roma, Haight pubblicò qualche anno fa sulle colonne di “America” un saggio in cui si spiegava che il futuro della teologia cattolica sarà roseo solo se sarà capace di farsi comprendere dalla cultura dominante.
Era la linea di padre Thomas Reese, direttore dal 2000 al 2005. Fu costretto a dimettersi su pressioni del Vaticano, si disse negli Stati Uniti: troppo liberal ed estreme certe sue posizioni su aborto, politica, matrimoni gay e rapporti con l’islam. Il suo esordio coincise con la critica alla Dominus Jesus in cui si ribadiva la visione del cattolicesimo come strada principale per la salvezza dell’uomo. La sua fine, poco dopo l’elezione di Benedetto XVI al papato: in un editoriale, “America” scriveva che “una chiesa che non può discutere le questioni apertamente, è una chiesa destinata a un ghetto intellettuale”.


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