Quotarsi, non lagnarsi

Redazione

L’euro forte non è solo una disgrazia per le aziende che confidano nelle esportazioni. Al contrario, un po’ di stabilità per la moneta unica, dopo anni vissuti sull’orlo di una crisi, non guasta. Lo confermano i flussi massicci di acquisti sul mercato dei titoli sovrani, favoriti dalla scoperta che, nel corso del 2013, non solo i Bonos spagnoli ma anche i Btp, in barba alle turbolenze politiche, sono stati meno volatili e ballerini dei T-bond americani, stressati dal prossimo cambio di rotta della Fed e dal conflitto sul bilancio. Lo conferma ancor di più la ripresa di attenzione per i mercati azionari del Vecchio continente.

    L’euro forte non è solo una disgrazia per le aziende che confidano nelle esportazioni. Al contrario, un po’ di stabilità per la moneta unica, dopo anni vissuti sull’orlo di una crisi, non guasta. Lo confermano i flussi massicci di acquisti sul mercato dei titoli sovrani, favoriti dalla scoperta che, nel corso del 2013, non solo i Bonos spagnoli ma anche i Btp, in barba alle turbolenze politiche, sono stati meno volatili e ballerini dei T-bond americani, stressati dal prossimo cambio di rotta della Fed e dal conflitto sul bilancio. Lo conferma ancor di più la ripresa di attenzione per i mercati azionari del Vecchio continente. Nei primi nove mesi dell’anno ci sono state 77 quotazioni in Borsa (Ipo), per una raccolta complessiva attorno ai 15 miliardi di euro. Nel solo terzo trimestre, le Ipo sono state 52, otto volte tanto l’analogo periodo del 2012. La metà delle operazioni è stata promossa dai private equity, ben decisi a far fruttare le partecipazioni in magazzino, già “congelate” dopo lo scoppio della crisi.

    Anche l’Italia, con un piccolo ritardo rispetto alla City, si è rimessa in marcia. Il Financial Times ieri ha anticipato la notizia della prossima offerta in Piazza Affari delle azioni di Sisal (valore, debiti compresi, di 1,7 miliardi) che andrà a rimpolpare il settore giochi dominato da Gtech. A vendere saranno proprio tre fondi, l’italiano Clessidra di Claudio Sposito, e due vecchie conoscenze del mercato italiano, Apax e Permira. L’operazione sarà senz’altro preceduta, prima di Natale, dalla cessione di una quota di Moncler da parte del fondo Usa Carlyle e della francese Eurazeo. Ma la lista è destinata ad allungarsi. Anche perché i fondi hanno ripreso a far magazzino, come dimostra l’ingresso di Palladio in F.I.L.A., multinazionale tascabile delle matite. Intanto, i gestori americani, gli stessi che nel 2011 prevedevano il tracollo dell’area euro, scoprono le virtù dell’Europa periferica. John Paulson, miliardario grazie alla fortunata scommessa sul tracollo dei mutui subprime, annuncia di aver puntato forte sulle banche greche, ripulite e coccolate “da un governo pro business”. Insomma, le premesse per rafforzare il capitale delle aziende italiane, l’eterno tallone d’Achille di un capitalismo bancocentrico, ci sono. Speriamo che gli imprenditori italiani se ne accorgano e si mettano finalmente in gioco. Mica per vendere, ma per rilanciare le imprese.