
Per una destra intransigente. O no?
Mentre in Italia si discuteva di stabilità con toni normativi, insomma una linea di condotta che il partito ministeriale del Pdl ha fatto sua fino all’ardimentosa messa all’angolo di Berlusconi nella grottesca mezza crisi di governo, negli Stati Uniti un’ottantina di deputati della destra repubblicana bloccavano lo stato con intransigenza inaudita, e minacciano di ripetere su grande scala lo sfracello impedendo una variante di bilancio che consenta al governo, tra dieci giorni, di tornare a spendere soldi pubblici.
Ferraresi La politica oltre il consenso. Parla Tanenhaus - Lo Prete L’Europa grancoalizionista prova a seppellire le minoranze intransigenti
Mentre in Italia si discuteva di stabilità con toni normativi, insomma una linea di condotta che il partito ministeriale del Pdl ha fatto sua fino all’ardimentosa messa all’angolo di Berlusconi nella grottesca mezza crisi di governo, negli Stati Uniti un’ottantina di deputati della destra repubblicana bloccavano lo stato con intransigenza inaudita, e minacciano di ripetere su grande scala lo sfracello impedendo una variante di bilancio che consenta al governo, tra dieci giorni, di tornare a spendere soldi pubblici. Si sono mossi, quelli che secondo i liberal americani e una parte della destra repubblicana più pragmatica hanno preso in ostaggio il paese per una “rivolta contro la realtà”, con l’aiuto ostruzionistico di un paio di senatori, tipacci interessanti che Mattia Ferraresi ha ritratto sabato per i lettori del Foglio. Hanno obbligato il sistema allo shutdown, allo stallo di bilancio: niente quattrini dal Congresso al governo federale se non ci si decide a definanziare, rinviare, fottere l’Obamacare, una riforma sanitaria che per la destra dei Tea Party è come il demonio, un cambiamento di paradigma della democrazia americana e un irrobustimento del potere dello stato sulla società e sugli individui.
Qui sotto Sam Tanenhaus del New York Times, il più sottile analista del movimento conservatore americano da una decina d’anni a questa parte, se non di più, ci racconta come e perché questo è potuto avvenire. Non è come le altre volte, ecco la sua lettura. Questi conservatori intransigenti si ispirano a Robert Taft (m. 1953), un grandissimo senatore repubblicano della prima metà del secolo scorso, nemico del New Deal rooseveltiano, censore della giustizia dei vincitori a Norimberga, uomo di principi solidi, da tutti rispettato, che fu in contrasto irriducibile con l’ala moderata e pragmatica del suo partito e con il presidente Dwight Eisenhower. Diceva: “Il business dell’opposizione è opporsi”. E si ispirano al congressman e già candidato alla nomina per le presidenziali, il libertario estremo Ron Paul, quello che vuole abolire la Federal Reserve e segue i maestri dello small government, lo stato minimo; quello che di recente, citando il rivoluzionario e padre fondatore Samuel Adams, ha detto: “Per prevalere non è necessario farsi maggioranza, serve piuttosto una accesa, infaticabile minoranza, disposta a infiammare di libertà lo spirito degli uomini”.
Bello no? L’idea di una politica “dopo il consenso” ha un suo fascino perfino per dei realisti come noi, che hanno sacrificato agnelli sull’altare del principio di realtà. E comunque vale la pena di capire, nell’eurozona delle grandi coalizioni un po’ tumefatte e soporose (vedi Marco Valerio Lo Prete), se una destra italiana dopo Berlusconi non debba valutare, senza scambiarla per una resa dei conti permanente o per una rissa verbale di partito, il fascino indiscreto dell’intransigenza, quello che Grillo e i suoi hanno portato in risibile caricatura agli onori delle cronache. Si può fare qualcosa? Di meglio? Chissà.
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