
La morte per acqua e l'ipocrisia: aprire le frontiere
La morte per acqua genera dolore, paura, smarrimento, pietà. La morte per acqua di poveri, di derelitti in cerca di pane e libertà e sicurezza, con le loro donne incinte, i loro bambini, porta la sofferenza di chi guarda impotente, di chi sa a cose fatte, ma anche quella di chi presta soccorso, a una misura di insopportabile frustrazione. Di qui nasce il romanzo umanitario. E’ colpa di una legge dello Stato, la Bossi-Fini o la Turco-Napolitano. Non è vero. I soccorsi sono arrivati in ritardo. Non è vero. I pescherecci hanno voltato la prua da un’altra parte. Non è vero. Lampedusa merita il premio Nobel. Brutta ipocrisia autoindulgente.
La morte per acqua genera dolore, paura, smarrimento, pietà. La morte per acqua di poveri, di derelitti in cerca di pane e libertà e sicurezza, con le loro donne incinte, i loro bambini, porta la sofferenza di chi guarda impotente, di chi sa a cose fatte, ma anche quella di chi presta soccorso, a una misura di insopportabile frustrazione. Di qui nasce il romanzo umanitario. E’ colpa di una legge dello Stato, la Bossi-Fini o la Turco-Napolitano. Non è vero. I soccorsi sono arrivati in ritardo. Non è vero. I pescherecci hanno voltato la prua da un’altra parte. Non è vero. Lampedusa merita il premio Nobel. Brutta ipocrisia autoindulgente.
C’è una sola cosa che non si ha il coraggio di dire, mentre i superstiti della pietà vengono accatastati in centri di raccolta e identificazione che sono il caos spietato dell’insensatezza, e tanti saluti alle manifestazioni superficiali del dolore per la strage del mare. Non si ha il coraggio di dire questo: tutto nasce per colpa delle Valtur schiavistiche della morte per acqua, organizzano con la complicità corrotta dei loro governi e dei loro stati incarogniti il traffico illegale, i camion percorrono le piste del deserto, mettono su le imbarcazioni low low cost che portano la merce illegale in occidente, si mimetizzano per sfuggire eventualmente alla sanzione del loro reato, e se necessario, quando non si incorra in prevedibili e tragici incidenti, frustano i passeggeri, li inducono, sappiano o no nuotare, a gettarsi in mare vicino alla riva fatale per garantire ai loro Caronti la via di fuga. La colpa non è nostra, è loro. Non dei sazi di qua, non dei disperati di là, ma di chi li imbarca in quelle condizioni. A volte bisogna avere il coraggio di non fare discorsi fessi e autoindulgenti fondati per paradosso sulla colpevolizzazione del proprio mondo. La parabola del Samaritano è nella nostra cultura e nel nostro comportamento, da anni noi salviamo il caduto, cerchiamo di risollevarlo e salvarlo. Ma non si deve dimenticare che qualcuno ha bastonato l’uomo sul ciglio della strada, il brigante lo ha rapinato, il diavolo ha cercato di portarselo con sé.
La seconda cosa, di conseguenza, che non abbiamo il coraggio di dirci, cullati nell’ipocrisia umanitaria, è questa. Bisogna aprire le frontiere e organizzare un ponte aereo o marittimo, se si vogliono evitare gli annegamenti e la morte per acqua di uomini, donne, vecchi e bambini. Oppure chiuderle ed estenderle fin dentro i paesi da cui partono i barconi, realizzando con una politica di diplomazia e di forza militare le condizioni per cui nessuno parte più da quelle coste. Sono due cose entrambe difficili da far proprie. E’ più semplice tenere come oggi le frontiere mezze chiuse e mezze aperte, imponendo regole che nessuno rispetta, strappandosi i capelli per la maledizione del mondo e della vita, e prendendosela con il nemico accanto al fine di scaricare la nostra responsabilità. Ma sono i soli due modi, frontiere spalancate o frontiere chiuse, che realizzano qualcosa di effettivamente umanitario, invece di limitarsi al lavaggio della coscienza, che anch’essa, gravata del peso dell’ipocrisia, alla fine muore per acqua.


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