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La quieta rivoluzionaria
Un’enorme immagine di Angela Merkel sorride benevola ai tedeschi dai cartelloni giganti sparsi in tutta la nazione, proprio come farebbe una gentile direttrice scolastica o una zia con i suoi pupilli (uno dei soprannomi della cancelliera tedesca è Mutti, mamma). Merkel emana calma e sicurezza, anche quando la campagna elettorale tedesca arriva al rush finale, prima del voto del 22 settembre. E perché non dovrebbe sembrare sicura di se stessa? Una delle cose che i tedeschi sanno per certo sulla sfida è che i cristiano-democratici della cancelliera raccoglieranno la maggior parte dei voti.
Carretta C’è un mostro europeo che attende Merkel dentro l’urna elettorale
di Paul Hockenos
Pubblichiamo ampi stralci di un saggio su Angela Merkel, pubblicato su Foreign Policy, scritto da Paul Hockenos, saggista e giornalista con base a Berlino che ha di recente pubblicato un libro dal titolo “Joschka Fischer and the Making of the Berlin Republic: An Alternative History of Postwar Germany”.
Un’enorme immagine di Angela Merkel sorride benevola ai tedeschi dai cartelloni giganti sparsi in tutta la nazione, proprio come farebbe una gentile direttrice scolastica o una zia con i suoi pupilli (uno dei soprannomi della cancelliera tedesca è Mutti, mamma). Merkel emana calma e sicurezza, anche quando la campagna elettorale tedesca arriva al rush finale, prima del voto del 22 settembre. E perché non dovrebbe sembrare sicura di se stessa? Una delle cose che i tedeschi sanno per certo sulla sfida è che i cristiano-democratici della cancelliera raccoglieranno la maggior parte dei voti. Non sorprende quindi che lo slogan sotto il viso sorridente di Merkel – stabilità, sicurezza, continuità – rifletta l’essenza della campagna elettorale conservatrice così come l’illimitata popolarità di Merkel. Anzi, i critici – anche nel suo governo – possono essere irritati dal suo ritmo lento. In termini di decision-making, Merkel è tanto attenta e conservatrice quanto loro sono impetuosi.
Nei suoi otto anni di kanzleramt (cancellierato) e nei più di quindici alla guida del partito conservatore più importante in Germania, la Cdu (Unione cristiano-democratica), Merkel ha governato durante una drammatica rivoluzione del conservatorismo tedesco – potremmo persino chiamarla una rivoluzione. C’è voluta Merkel – appena arrivata nel partito, donna, dalla Germania dell’est, e protestante -- per modernizzare una democrazia cristiana ormai superata, rendendola più liberale e inclusiva su argomenti che vanno dalla leva militare all’energia nucleare. Nel farlo, non solo ha messo il suo partito nella posizione per vincere per la terza volta di fila le elezioni nazionali, ma ha cambiato la Germania – probabilmente per sempre.
Con Merkel, il principale partito cristiano democratico d’Europa ha abbandonato molte delle posizioni che hanno definito il conservatorismo tedesco durante la Guerra fredda fino agli anni 90. Se Merkel abbia scelto questo percorso per sua convinzione o per realpolitik poco interessa – ciò che importa è che ha funzionato a meraviglia con la Cdu. Ha ringiovanito un partito che era sempre più ingessato, rubando la scena al principale rivale, l’Spd, il partito socialdemocratico, che non avrebbe mai immaginato di vedersi rubare il terreno dopo tanto tempo proprio dai conservatori tedeschi, e in modo così audace.
La Cdu era nata fra le macerie della Germania postbellica, una grande alleanza che aveva raccolto sotto il suo grande ombrello le schegge rimanenti dei partiti dell’èra di Weimar, la potente chiesa cattolica, milioni di espulsi amareggiati, e persino alcuni ex nazisti. Il suo padre fondatore e leader indiscusso per due decenni è stato Konrad Adenauer, e la sua impronta sulla Cdu – e in realtà sulla Repubblica federale in generale – l’avrebbe definita fino all’unificazione e oltre. Adenauer, devoto cattolico renano, nato nel 1876, governò durante lo strabiliante Wirtschaftswunder, il miracolo economico, così come durante l’ingresso della nazione nella Nato e il suo radicamento fra le nazioni occidentali. Eppure Adenauer era recalcitrante nell’obbligare il tedesco medio a venire a patti con il suo recente passato. La chiesa cattolica aveva un’influenza senza precedenti sulla Cdu, che per esempio considerava che il solo ruolo adatto alla donna tedesca fosse definito dalle tre K: Kinder, Küche, Kirche (bambini, cucina, chiesa).
Lungo i decenni postbellici la Cdu ha subito numerosi colpi, temperando l’arciconservatorismo dell’èra Adenauer. L’impatto liberalizzatore di una nuova generazione di giovani tedeschi, le rivolte studentesche della fine degli anni 60, i potenti movimenti di massa degli anni 70, come il movimento femminista, avevano inevitabilmente coinvolto anche il partito. Eppure restava dominato dagli uomini, socialmente arretrato e rigidamente gerarchico.
E quando Helmut Kohl, altro cattolico renano, si dimise nel 1998, la Cdu era ormai completamente distaccata dalla società tedesca. Solo un esempio: Kohl era abituato a chiamare con affetto Merkel, all’epoca ministro del suo governo, das Mädchen (la ragazza). La Germania era cambiata profondamente dall’inizio degli anni 80, quando Kohl era andato al potere, non ultimo a causa dell’annessione di 17 milioni di tedeschi dell’est alla popolazione nazionale.
Il partito realizzò che doveva riprendersi i voti degli indecisi, dei giovani, delle donne, che doveva trovare un modo di farsi strada anche fra l’elettorato non cristiano. C’era bisogno di una rivoluzione che riuscisse a guidare il partito lì dove la Germania era arrivata. Ma i suoi componenti erano talmente trincerati dietro le abitudini e le alleanze del passato da rendere impossibile liberarsene.
Ed ecco arrivare la quarantaquattrenne Angela Merkel, che era membro del partito da soli otto anni quando prese la guida della Cdu nel 1998. La rivoluzione Merkel – sempre coerente al suo stile prudente – non fu minimamente paragonabile a una presa della Bastiglia, ma fu piuttosto una trasformazione dall’interno, progressiva, di basso profilo, estremamente efficace.
Lei stessa era l’eccezionalità: una donna in un partito a composizione prevalentemente maschile, che vedeva ancora il ruolo delle donne soprattutto come madri, in un nucleo familiare tradizionale. Ma Merkel, una fisica, non aveva Kinder e non era nemmeno sposata al suo partner di lunga data finché non si unì al partito (e le fu chiesto se intendeva sposarsi, cosa che fece nel 1998).
Quando Merkel fu eletta cancelliera per la prima volta nel 2005, la rivista femminista di sinistra Emma, che quasi certamente lei non leggeva, celebrò l’evento con il gioioso titolo “Siamo la Cancelliera!”. Una donna alla cancelleria, che prendeva il potere da uno spaventoso pantheon di uomini alfa pieni di sé, era un colpo di vaste proporzioni, che suonò positivamente alle orecchie del pubblico tedesco – specialmente fra le donne. Nonostante il fatto che la più potente donna politica in Europa rifiuti il termine “femminista” come fosse una parolaccia, oggi il 63 per cento delle donne tedesche – incluso l’influente direttore femminista di Emma, Alice Schwarzer – sostiene Merkel. Nelle elezioni del 2009, le giovani donne che hanno votato la Cdu erano circa il doppio di quelle che hanno votato i socialdemocratici.
Per quanto riguarda Kirche, non era mai successo che una protestante (tantomeno una che aveva divorziato in precedenza) fosse a capo del partito. In realtà, era impensabile, anche se la Cdu era de iure aperta a tutte le religioni e includeva molti protestanti. Ai tempi della Repubblica di Bonn, la chiesa cattolica godeva del vantaggio di superare in numero i protestanti, con una proporzione di due a uno. Ma nella Germania riunita, i numeri dei cattolici e dei protestanti son quasi uguali, e si ritrovano circondati da un crescente numero di atei e di persone di altre religioni. I cittadini dell’est appartengono in generale alle chiese protestanti, alcune delle quali estremamente liberali, come quella che gestiva il padre di Merkel, nell’ex Germania dell’est.
Merkel ripulì le prime ragnatele ancor prima di diventare cancelliera nel 2005. Come capo del partito, non solo prese il posto di Helmut Kohl, ma praticamente lo eliminò dal partito, tagliando i legami col suo benefattore, che dovette poi affrontare uno scandalo relativo alle finanze del partito. E Kohl fu solo il primo di una lunga serie di uomini conservatori che ricoprivano incarichi di grande potere – i rivali primi di Merkel – a uscire in modo poco elegante dal partito durante la sua gestione. Oggi, non esiste alcun rivale all’orizzonte – o qualsiasi persona di una certa statura che osi sfidare la marcia della Cdu verso il centro politico.
Il tipo di facce nuove che sono fiorite sotto Merkel sono quelle di figure come Ursula von der Leyen, una piccola dinamo che come ministro in entrambi i governi Merkel – prima al ministero della Famiglia e ora in carica al Lavoro e agli Affari sociali – aveva instancabilmente cercato di spostare i limiti delle questioni sociali. (Von der Leyen ora guida un gruppo di lavoro della Cdu chiamato Eltern, Kind, Beruf – genitori, bambino, carriera – che sta efficacemente gettando nel cestino le tre K di Adenauer). Madre di sette figli, è l’autrice di una legge progressista dopo l’altra, e sarebbe a suo agio – anche se lo negherebbe – sia con i socialdemocratici sia con i Verdi.
La lista delle violazioni al credo conservatore guidato da Merkel è lunga, dalla graduale eliminazione dell’energia nucleare all’adozione del salario minimo (in alcuni settori) all’accoglienza degli immigrati qualificati professionalmente. Le politiche sulla famiglia e sul luogo di lavoro dell’era Merkel, però, sono probabilmente il miglior esempio della modernizzazione della cancelliera. Per aiutare i genitori lavoratori a bilanciare lavoro e famiglia, il governo Merkel ha istituito nuove agevolazioni fiscali per i costi del child-care, la paternity leave per i padri, e leggi per assicurare ai genitori periodi di assistenza ai bambini di età superiore a un anno. La cancelliera ha spinto per una poco piacevole inversione a U nella politica del partito, concordando una quota del 30 per cento per le donne nei consigli di amministrazione delle aziende, il tipo di quote da lungo adottate da nazioni europee come Norvegia e Francia.
Le riforme Merkel/Von der Leyen vengono direttamente dal programma politico dei socialdemocratici, ed erano state promosse dal governo “rosso-verde” del 1998-2005. Ma ora queste riforme portano il nome di Merkel. Anche se ci sono ancora differenze fra le politiche della famiglia della Cdu e quelle dell’Spd – differenze che gli uomini di sinistra stanno tentando di esasperare – ce ne sono sempre di meno.
La Cdu ha aperto il dialogo con le famiglie non convenzionali, come quelle delle madri single, delle coppie non sposate, addirittura dei partner omosessuali. Nel recente passato, i diritti gay erano un’area tabù per i cristiano-democratici. Non più. Il partito appoggia le unioni omosessuali, anche se non con gli stessi diritti degli eterosessuali sposati. Ma anche questa barriera potrebbe cadere presto. Quest’anno, ha ceduto alla fazione conservatrice del partito prendendo posizione contro il permesso alle coppie omosessuali di adottare assieme un bambino. Ma l’alta corte tedesca ha ribaltato la proibizione. “Famiglia è dove i bambini sono amati e dove ci si prende responsabilmente cura di loro”, ha scritto in un editoriale il quotidiano conservatore nazionale Welt, un segno che la rivoluzione ha intaccato persino le sue spesse mura. Con una tipica mossa di basso profilo “à la Merkel”, ha accettato la sentenza senza drammi e indicato che anche il partito vi si sarebbe dovuto allineare, cosa che ha fatto, causando alla frangia estremista un’ulteriore sconfitta (la gerarchia del partito top-down, follow-the-leader, è una delle cose che non è cambiata nel tempo, altra spiegazione dell’enorme influenza di Merkel).
Per quanto concerne la politica estera, Merkel è stata molto meno rivoluzionaria in quest’area, se comparata con il governo “rosso-verde” di socialdemocratici e Verdi del 1998-2005, che avevano pilotato una vasta espansione del coinvolgimento militare tedesco oltre i confini nazionali, ad esempio in Kosovo e Afghanistan. In medio oriente, la reazione esitante della Germania alla primavera araba e la posizione passiva sugli interventi militari in Libia e in Siria hanno provocato forti critiche, non ultimo da parte degli Stati Uniti, che vorrebbero che la Germania assumesse un ruolo più forte di leadership globale. Ma da parte sua, Merkel sembra perfettamente a suo agio con la derisa “diplomazia del libretto degli assegni” – restare tranquilli finché non si posa la polvere, e poi pagare per la ricostruzione postbellica.
Allo stesso modo, la reazione di Merkel all’eurocrisi è stata tutto meno che proattiva – anche se apprezzata da parte del cittadino tedesco medio. Nonostante le promesse iniziali del contrario, la Germania ha fatto concessioni su concessioni ai suoi partner europei. Un terzo pacchetto di salvataggio per la Grecia, che ora sembra inevitabile, sarebbe il culmine di questa lista di passi indietro. Eppure i tedeschi considerano Merkel strenuo difensore dei loro interessi sul palcoscenico europeo. Le parole chiave della sua campagna elettorale – stabilità, sicurezza, continuità – sono riferimenti criptici al modo in cui ha gestito l’eurocrisi, assicurando la prosperità tedesca mentre garantiva il bailout agli stati dell’Europa del sud e salvava l’Unione europea.
La modernizzazione del conservatorismo tedesco è una delle ragioni principali che l’hanno resa capace di cavarsela con un approccio così favorevole alla Germania durante l’eurocrisi. Il nazionalismo della vecchia Cdu era contaminato dalle definizioni arcaiche di “germanità” e dal radicalismo degli espulsi, che vedevano la “vera” Heimat (patria) in una Germania ad est dell’Oder-Neisse. La Cdu progressista di Merkel non solo si era distanziata significativamente da tali reliquie della Repubblica di Bonn, era andata molto oltre. I critici possono temere l’influenza economica e l’avarizia monetaria di una “Europa tedesca”, ma la paura che la Germania invada i loro confini se ne è andata – forse per sempre.
Il nuovo volto della Cdu può anche non sembrare una rivoluzione copernicana in Germania, perché gran parte della società ha già superato quei cambiamenti: la Germania era multiculturale; le donne lavoravano, i gay convivevano, gran parte delle persone si opponeva al nucleare – e così via. Merkel, mediatrice da sempre, si è adattata alle realtà della Germania moderna con meno clamore possibile – nel tipico stile Merkel. Uno dei risultati più eclatanti è che ora l’Spd è sotto pressione per tracciare una chiara linea di demarcazione con il partito della cancelliera.
Per gettare sale sulle ferite, i conservatori hanno anche preso possesso delle politiche economiche dell’ultima amministrazione socialdemocratica, guidata da Gerhard Schröder. Le modifiche di Schröder al welfare, così come le sue riforme del lavoro e dell’erario in chiave pro business, lo avevano reso altamente impopolare all’interno del suo partito. Dopo una decina d’anni però, persino Merkel ammette che le misure di Schröder hanno aperto la strada alla ripresa tedesca. I socialdemocratici, d’altra parte, non sanno che farsene dell’eredità delle riforme di Schröder: le definiscono a volte eccessivamente draconiane, e a volte visionarie. Questo ha reso la vita difficile al candidato dell’Spd, Peer Steinbrück, figura mediocre già ministro delle Finanze di Merkel nel governo di larghe intese dal 2005 al 2009. I due personaggi sono andati abbastanza d’accordo, certamente più di quanto vadano oggi la Cdu ed il suo attuale partner di governo, i liberali dell’Fdp. Ciò ha scatenato dilaganti speculazioni sul fatto che quello che vogliono davvero Merkel e Steinbrück è una nuova Grande coalizione, che i sondaggi indicano come una possibilità concreta. Molto probabilmente, questo è tutto quello che l’Spd può sperare.
Uno sviluppo da tenere d’occhio è quello dato da Alternative for Germany, partito anti euro a destra della Cdu. La conquista del centro da parte di Merkel è stata possibile dato che non esisteva alcun partito di estrema destra in Germania dalla sua ascesa. Quasi ogni altra nazione del continente ha un partito nazionalista – tranne la Germania. Ciò probabilmente deriva più dal caso che da altro – l’assenza della persona giusta con gli slogan giusti e soldi da buttare – piuttosto che dal testamento della cultura democratica tedesca (i sondaggi mostrano che la Germania ha quote di islamofobia, razzismo e sentimenti antieuropei uguali a quelli delle nazioni dove esistono partiti attivi di estrema destra). Quale che sia la spiegazione, Merkel prima poteva postarsi molto a sinistra senza paura di perdere i suoi conservatori ideologici; non avevano nessun altro posto dove andare. La situazione è cambiata, e la destra scontenta ha iniziato ad abbandonarla, seppur ancora con piccoli numeri – per ora.
Per quanto sia stata graduale e moderata in modo frustrante, la rivoluzione conservatrice di Merkel ha aiutato la Germania a diventare più moderna nel suo complesso e, in ultima istanza, più potente. Le fortune dell’economia tedesca, chiamate da qualcuno una seconda Wirtschaftswunder, hanno aumentato questo prestigio. Certo, è un potere che finora Merkel deve ancora esercitare per qualsiasi scopo reale che non sia stato condannare gli stati del sud Europa a un futuro di austerità e debito crescente. Persino su questioni che non richiedono la forza delle armi, come il riscaldamento globale, la Germania è diventata praticamente muta; una volta pioniera nella produzione di energie pulite, Merkel ora ha fatto un passo indietro, impaurita dalle implicazioni del successo. Oggi, il ministro degli Esteri tedesco viaggia da una regione di conflitto all’altra sussurrando verità lapalissiane e promettendo aiuto. Merkel ha davvero cambiato l’Europa – ma togliendo la Germania dal palcoscenico mondiale, la cautela non ha dimostrato di essere la sua più grande virtù.
Mai prima d’ora nell’Europa postbellica la Germania è stata così potente, così benestante, così regale. Chissà se col terzo mandato Merkel farà uso di tale levatura per cause progressive – così come ha fatto nel suo partito.
Carretta C’è un mostro europeo che attende Merkel dentro l’urna elettorale
di Paul Hockenos
(traduzione di Sarah Marion Tuggey)


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