
Il giornale di carta e l'ombrello di Salisburgo, attenuanti sentimentali
Il fallimento dell’ultima impresa di Tina Brown, la giornalista glossy, brillante, brillantissima, mi ha indotto ad aprire l’ombrello. Tina ha inanellato splendori al Tatler e poi a Vanity Fair, infine al New Yorker e al digitale Daily Beast, da dove il poisson bau-bau (copyright di mia moglie Selma) suo editore, Barry Diller, l’ha appena licenziata. Questo mi ha fatto pensare all’i-Pad, il tablet. Tutti quelli che lo usano per leggere i giornali sono felici di non sporcarsi le mani, di avere il simulacro all’ora preferita, anche di primissimo mattino, di poter scandagliare il mondo intero in un’edicola senza confini, e anch’io. Certo. Però tutto passa in fretta, anche il giornale per tablet et similia di Tina B.
Benini Amore di carta
Il fallimento dell’ultima impresa di Tina Brown, la giornalista glossy, brillante, brillantissima, mi ha indotto ad aprire l’ombrello. Tina ha inanellato splendori al Tatler e poi a Vanity Fair, infine al New Yorker e al digitale Daily Beast, da dove il poisson bau-bau (copyright di mia moglie Selma) suo editore, Barry Diller, l’ha appena licenziata. Questo mi ha fatto pensare all’i-Pad, il tablet. Tutti quelli che lo usano per leggere i giornali sono felici di non sporcarsi le mani, di avere il simulacro all’ora preferita, anche di primissimo mattino, di poter scandagliare il mondo intero in un’edicola senza confini, e anch’io. Certo. Però tutto passa in fretta, anche il giornale per tablet et similia di Tina B.
Nel tablet passano incredibilmente in fretta le pagine, i titoli sembrano sempre gli stessi, gli articoli sono evanescenti, il carattere di stampa è lunare, uno comincia con il lasciare l’edicola o con il rinunciare al giornale di carta sotto il tappetino, che ne so, e poi si ritrova a pensare che può fare a meno del tutto dei giornali, che sono un aggravio di tempo perduto e di chiacchiera mal spesa. Non è vero. Non lo credo. Sono lontano da questo sentimento. Ma meno di una volta, da quando uso anche il tablet per informarmi.
Ci sono giornali, il WSJ o il Times per esempio, anche quello di Londra, molto bene impaginati, aggiornamenti continui, la rotazione asiatica del fuso che ti aiuta, non c’è un millimetro di mondo capace di sfuggire 24h, le fotografie sono meravigliose, nemmeno Time le ha mai stampate così bene, i video sensazionali. Però tendo a andare di fretta. Poi ci sono i siti degli stessi giornali che superano il prodotto composto analogo all’edicola, poi la funzione universale di aggregazione, cioè l’insalata digitale senza forma e senza confini, quanta roba c’è. E perché si riduce il tempo di lettura? Perché non si soffre, come soffriva Alberto Ronchey, a spendere tutto quel tempo appresso allo sfoglio della carta di diverse testate non infinite?
Direte. Perché si gode, invece di soffrire, dei risultati dell’inventiva umana, e puoi fare dovunque nel mondo il giro che una volta era rigorosamente un viaggio intorno alla tua stanza. Vero. Non posso negarlo. Sono per gli OGM, come il grande Antonio Pascale li considero parte delle mie attenuanti sentimentali (gran libro). Continuerò con il tablet, e mi dispiace per me stesso, che ho imparato nei giornali fin da piccolissimo la circostanza del pensare, e poi del parlare e dell’essere animale sociale. Però a Salisburgo ho comprato un bellissimo e costosissimo ombrello. Non è vero che l’ombrello non serve più. Ci sono gli over the top, e da anni siamo svagati davanti all’acqua che cade dal cielo, mica portiamo le galosce. L’ombrello è un oggetto così vecchio, sostituibile, seriale nei mille modi a costo quasi zero di produzione e distribuzione e vendita (come la stampa free), che sembra quasi non piova più o non ci sia più bisogno di proteggersi. Invece no. Mi sento fico se passeggio con i cani e con l’ombrello. Un essere umano che compra il giornale per strada e porta l’ombrello quando piove mi sembra superiore a uno che non lo fa. Almeno a una certa età.
Insomma, il giornale di carta è inservibile, fallisce, costa troppo, siamo alla frutta per motivi evidenti, ma i motivi non evidenti consigliano di leggere sempre un giornale di carta, qualche volta sotto la copertura di un buon ombrello, bel manico di legno (ciliegio), leggerezza e forza costruttiva, cupola a spicchi colorata o nera. Dipende. I titoli sembrano più interessanti, gli stessi. Il peso è leggero. Le mani sporche. L’ingombro intellettuale di gran lunga superiore. Così mi pare.
C’era, è vero, il mito dell’invincibilità del digitale. Ma ora che Tina B. si dedica a un’agenzia per talk show, perché anche il digitale perde a rotta di collo, non si sa più che pensare. Magari si potrebbe rifare il Tatler, come il nostro meraviglioso IL di Christian Rocca, oppure riprendere la direzione di Vanity Fair o del New Yorker, che sono anche su Twitter e fanno della loro cifra di stampa un modello di eleganza anche on line. Chissà. Per tanti anni ho fatto a meno dell’ombrello, mi sono tranquillamente bagnato. Non passeggiavo. Me ne fottevo. Il marketing aveva vanificato l’oggetto a forza di brutture smerciate come robaccia da quattro soldi. Poi ho sborsato una cifra per sembrare disperatamente un signore. Tina B. avrà un bell’ombrello anche lei?
Benini Amore di carta


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