Il Corriere delle banche si occupa di Montepaschi. Un bel paradosso

Redazione

Proprio mentre il Monte dei Paschi cade sotto le stringenti attenzioni del commissario europeo Joaquín Almunia, che al seminario Ambrosetti di Cernobbio ha indicato modi e tempi della ricapitalizzazione, il Corriere della Sera dedicava ieri un’intera pagina alla scoperta dell’acqua calda, per la firma dell’inviata di punta della giudiziaria, Fiorenza Sarzanini. Titolo: “Così Pd e Pdl si dividevano le nomine di Mps”. Tutto parte dall’immancabile “apertura di un fascicolo” (uno snodo classico, come Maigret che svuota la pipa “e un lampo malizioso attraversa i suoi occhi”) da parte dei pm senesi Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso.

    Proprio mentre il Monte dei Paschi cade sotto le stringenti attenzioni del commissario europeo Joaquín Almunia, che al seminario Ambrosetti di Cernobbio ha indicato modi e tempi della ricapitalizzazione, il Corriere della Sera dedicava ieri un’intera pagina alla scoperta dell’acqua calda, per la firma dell’inviata di punta della giudiziaria, Fiorenza Sarzanini. Titolo: “Così Pd e Pdl si dividevano le nomine di Mps”. Tutto parte dall’immancabile “apertura di un fascicolo” (uno snodo classico, come Maigret che svuota la pipa “e un lampo malizioso attraversa i suoi occhi”) da parte dei pm senesi Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso. Come previsto dal Foglio già dal maggio scorso, “in questo scandalo nulla si tiene”. Difatti dopo che il giudice per le indagini preliminari, Ugo Bellini, aveva respinto la richiesta della procura di sequestro di 1,8 miliardi di euro alla banca giapponese Nomura, non ravvisando né truffa né usura nella ristrutturazione di derivati, a luglio anche il tribunale del Riesame al quale si erano rivolti i tre pm non aveva trovato nello swap né danno né occulto. Ma ecco che ora la procura annuncia che “si apre il capitolo d’indagine più delicato. E’ quello che porta direttamente nelle stanze della politica romana”.

    Continua così la saga, dopo un’inchiesta evidentemente chiusa troppo in fretta per gli standard italiani – oltretutto mentre riparte la grande stagione dei talk-show – e già con la Guardia di Finanza che mormorava “non è finita”. Il Corriere fa da sponda in grande stile e avanza a rullo compressore. Le rivelazioni, visto che stiamo parlando di una banca che in deroga alla legge consentiva alla Fondazione, cioè agli enti locali, cioè ai Ds, di mantenere la maggioranza azionaria e nominare tutti i dirigenti, rappresentano novità sconvolgenti. Tipo: “Era stato il presidente della Fondazione Gabriello Mancini il più incisivo nel delineare i meccanismi”. Che dice Mancini? “Era il presidente (della banca) Giuseppe Mussari che decideva le nomine e mi informava. Il suo riferimento era Franco Ceccuzzi (ex sindaco di Siena) di area dalemiana. Posso dire che aveva un cordiale rapporto anche con Walter Veltroni quando divenne segretario del Pd”. Bingo! Naturalmente non manca il “riferimento anche nel Pdl”, invariabilmente è Denis Verdini. Ma mica finisce qui: “Altra persona con cui aveva rapporti era Gianni Letta. Ricordo che Letta affermava che Mussari era il suo riferimento in banca, mentre io ero il riferimento in Fondazione”. Dunque la gola profonda rivela che il Gran Visir se doveva chiamare qualcuno in banca si faceva passare il presidente, ed egualmente si regolava con la Fondazione.

    Ma il bello deve ancora venire: “Le diverse anime dei Ds erano fortemente interessate alla gestione di Mps. E’ sufficiente leggere i giornali dell’epoca per ricordare ciò che l’onorevole Vincenzo Visco o l’onorevole Massimo D’Alema pensavano della banca”. In altri termini i pm mettono a verbale o l’aria fritta o rinvii ai giornali dell’epoca. Neppure manca la struttura Delta. In un’altra testimonianza l’ex presidente della Provincia Fabio Ceccherini dice che in cinque si interessavano alle nomine: “Cenni, Ceccuzzi, Franco Bassanini eletto nella circoscrizione di Siena, assieme a Giuliano Amato erano quelli maggiormente attenti al territorio e alla banca. Ebbi colloqui anche con D’Alema che esprimeva perplessità sulla governance e riteneva il sistema di nomine medievale, auspicando che fosse più attento al mercato”. Archiviato il biglietto d’auguri della procura e del Corriere ad Amato nominato giudice costituzionale da Giorgio Napolitano, la lettura scorre rapida fino al “patto Ceccuzzi-Verdini presisposto il 12 novembre 2008”, che è “agli atti dell’inchiesta”, ma tre righe più giù è declassato a “bufala”. Fino alla decisiva e chiarificatoria testimonianza “del senatore del centrodestra Paolo Amato”, il quale “parlando ai magistrati della nomina di Alberto Pisaneschi nel cda di Mps in quota Pdl ha dichiarato: non è stato nominato da Verdini, ma è stato frutto del groviglio armonioso senese”.

    Il Corriere riceve e volentieri pubblica con tanto di fotocopie di verbali che fanno Oliver Stone. Peccato non dica ai suoi lettori che cosa realmente c’è in questo scandalo bancario; se c’è qualcosa. Il che, per il giornalone posseduto e governato dal meglio delle banche italiane, i cui top manager si alternano da anni tra l’ufficio, le primarie del Pd e Via Solferino, è francamente un paradosso.