
Obama disorientato
Barack Obama è inciampato in una soluzione diplomatica della questione siriana che, vista attraverso la lente delle relazioni internazionali, è un bluff dilatorio in perfetto stile russo, ma agli occhi del presidente assume le forme invitanti di una exit strategy. Un espediente per evitare l’intervento militare e schivarne le conseguenze politiche. Brandendo il vessillo reaganiano del “trust but verify” il presidente ha preso a lavorare sull’esercizio di diplomazia accidentale in cui il segretario di stato, John Kerry, si è esibito lunedì, preso scaltramente sul serio dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov.
New York. Barack Obama è inciampato in una soluzione diplomatica della questione siriana che, vista attraverso la lente delle relazioni internazionali, è un bluff dilatorio in perfetto stile russo, ma agli occhi del presidente assume le forme invitanti di una exit strategy. Un espediente per evitare l’intervento militare e schivarne le conseguenze politiche. Brandendo il vessillo reaganiano del “trust but verify” il presidente ha preso a lavorare sull’esercizio di diplomazia accidentale in cui il segretario di stato, John Kerry, si è esibito lunedì, preso scaltramente sul serio dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha costruito su un misunderstanding l’impalcatura di un possibile accordo per evitare l’attacco americano, basato sulla resa delle armi chimiche di Bashar el Assad alla comunità internazionale. Obama ha improvvisato su questo canovaccio, mandando segnali a diversi livelli. Ieri ha parlato con Parigi e Londra, aderendo alla proposta, formulata dai francesi, di portare l’offerta russa all’Onu, con l’obiettivo di forzare un voto al Consiglio di sicurezza che avrebbe costretto Mosca ad abbandonare le sue posizioni. Il Cremlino ha rifiutato l’idea a breve giro di posta: “Inaccettabile”, ha detto Lavrov.
Nel frattempo Washington si è industriata per presentare la soluzione diplomatica come un piano architettato con cura, o almeno per non alimentare l’impressione di essere totalmente in balìa dei trucchi congegnati sull’asse Mosca-Damasco. Il portavoce della Casa Bianca ha spiegato che il pertugio che si è aperto lunedì “è una chiara conseguenza delle pressioni”, mentre Kerry, chiamato a testimoniare davanti alla commissione delle Forze armate della Camera, ha detto che l’idea è il frutto di telefonate con Lavrov della settimana scorsa corroborate dai dialoghi fra Obama e Putin. Nancy Pelosi, che per conto del presidente sta raggranellando voti alla Camera, ha scritto su Twitter che è “grazie alla forza del presidente che oggi abbiamo una proposta russa”. Accanto al fronte internazionale, Obama si è preso cura di quello interno.
Il voto al Senato sull’attacco, inizialmente previsto per oggi, è slittato alla settimana prossima per dare tempo a questa impura mistura diplomatica di fermentare. Il presidente ieri ha visto i senatori di entrambi i partiti. Lo scopo originario della visita era di convincerli a votare la risoluzione militare proposta dalla Casa Bianca prima di fare il suo discorso alla nazione alla vigilia del voto, e in parte ha mantenuto fede all’impegno. Ma l’ennesimo cambio di vento lo ha convinto a premere per la stesura di una nuova risoluzione, sponsorizzata da un gruppo bipartisan di senatori che va dal repubblicano John McCain al democratico Charles Schumer. Il testo subordina l’operazione militare a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu e fissa una deadline – l’ennesima linea rossa in questa crisi – per la consegna delle armi chimiche alla comunità internazionale. Se la scadenza non sarà rispettata, l’America mostrerà al mondo il bluff di Putin e farà ragionare Assad con i missili Tomahawk, sempre ammesso che Obama trovi i voti necessari. Ieri il leader del Gop al Senato, Mitch McConnell, ha dichiarato il suo voto contrario a un piano senza “visione strategica” e del quale “non si capisce lo scopo”. Alla fazione dei contrari s’è aggiunto anche il democratico Ed Markey, e ora gli oppositori all’intervento fra quelli che hanno fatto dichiarazioni esplicite superano i sostenitori.
Il rifiuto di Mosca svuota di significato molte delle manovre fatte da Obama per aggirare un intervento militare troppo rischioso per i suoi calcoli, e allo stesso tempo espone in modo plateale la debolezza di una posizione che reagisce agli stimoli esterni invece di seguire una linea politica definita. Fonti della Casa Bianca dicono che gli eventi delle ultime ventiquattro ore hanno indotto una metamorfosi nel discorso obamiano di questa notte: quella che doveva essere un’attenta perorazione del dovere americano di intervenire contro il tiranno è diventata un esercizio di equilibrismo per tenere aperto l’improbabile pertugio diplomatico creato a forza di fraintendimenti, depistaggi, dilazioni, bluff e introvabili strategie.


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