
Francesco, il digiuno e le bombe
Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza, aveva detto domenica all’Angelus il Papa. In Siria si rischia la guerra mondiale, ha aggiunto ieri per fare ancora più chiarezza mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, secondo cui c’è il concreto pericolo che il conflitto “deflagri e si estenda ad altri paesi”. Gli ingredienti, aggiunge a Radio Vaticana, “ci sono tutti”. L’attacco contro Damasco – anche se limitato nel tempo e sferrato per punire l’uso di armi chimiche sulla popolazione civile da parte del regime di Bashar el Assad – è un’opzione che non può neppure essere presa in considerazione, a giudizio della Santa Sede.
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Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza, aveva detto domenica all’Angelus il Papa. In Siria si rischia la guerra mondiale, ha aggiunto ieri per fare ancora più chiarezza mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, secondo cui c’è il concreto pericolo che il conflitto “deflagri e si estenda ad altri paesi”. Gli ingredienti, aggiunge a Radio Vaticana, “ci sono tutti”. L’attacco contro Damasco – anche se limitato nel tempo e sferrato per punire l’uso di armi chimiche sulla popolazione civile da parte del regime di Bashar el Assad – è un’opzione che non può neppure essere presa in considerazione, a giudizio della Santa Sede. Mentre le strutture diplomatiche d’oltretevere lavorano per favorire una composizione del conflitto attraverso “l’incontro e il negoziato”, Francesco si prepara alla veglia di preghiera e digiuno di sabato prossimo, cui si unirà “probabilmente” anche il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, la quale ha comunque precisato – se ce ne fosse bisogno – che non si unirà nella preghiera “in quanto laica”. L’obiettivo del gesto di Bergoglio è di mobilitare le coscienze, di riempire il sagrato di San Pietro di uomini e donne (non importa se cristiani, appartenenti ad altre confessioni religiose o atei) convinti che, se non al giudizio di Dio, almeno “a quello della storia sulle nostre azioni non si potrà sfuggire”.
La strategia è chiara ed è stata messa a punto sabato mattina nel corso di un’udienza a Santa Marta cui hanno preso parte i vertici della segreteria di stato, il prefetto della Congregazione per le chiese orientali, il cardinale Sandri, e il Pontefice stesso. Due giorni prima, Francesco aveva ricevuto il re giordano, Abdallah II, per farsi un’idea in prima persona di quale sia la situazione sul campo e degli sviluppi diplomatici. Un Angelus, quello di domenica, in cui il Papa cita Giovanni XXIII e la sua Pacem in terris, ma nel quale pare di riascoltare il “nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra” pronunciato da Pio XII nell’agosto del 1939 e i passaggi più duri e drammatici della Lettera di Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti del 1917, in piena Grande Guerra.
L’attivismo del Papa argentino contro la guerra senza se e senza ma – anche se come reazione all’uso di armi chimiche, condannato esplicitamente domenica da Francesco – è molto di più che preoccupazione per le conseguenze che potranno scaturire dai raid sulla Siria. Bergoglio sta ribaltando il concetto secondo il quale, in casi particolari e circostanziati, l’intervento umanitario sia ammissibile se non addirittura provvidenziale. E’ una rivoluzione che chiude un’epoca durata vent’anni, da quando Giovanni Paolo II scrisse una lettera all’allora segretario generale dell’Onu, Boutros Boutros-Ghali, in cui sosteneva che “l’autorità del diritto e la forza morale dell’Onu costituiscono le basi sulle quali si fonda il diritto d’intervento per salvaguardare la popolazione presa in ostaggio dalla follia mortale dei fautori della guerra”. Ribadiva quanto, l’anno prima, aveva detto intervenendo alla Fao: “Sia reso obbligatorio l’intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici: è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale”. Oggi, Francesco archivia il bellum iustum invocato da Karol Wojtyla per salvare Sarajevo e grida dalla finestra dello studio privato del Palazzo apostolico che “non è mai l’uso della violenza che porta alla pace”. Le bombe, insomma, non si possono mai considerare legittime. Neanche se hanno impressa la firma delle Nazioni Unite.
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