Utopia

Il senso degli inglesi per le serie tv

Federico Tarquini

Utopia è una serie inglese. A qualcuno potrà sembrare superfluo, eppure nella galassia delle serie tv c’è un pianeta in cui sono tutti devoti a sua Maestà. Quello delle serie inglesi è un bel mondo, basta pensare a Sherlok, a Roma, a Misfits e ai tanti prodotti di qualità sfornati oltremanica. Dopo lunghe sessioni di serial a stelle e strisce, pur correndo il rischio di passare per un fighetto da cineclub, può essere molto interessante immergersi nelle cupe atmosfere inglesi. L’esperienza che se ne trae difficilmente delude.

    Utopia è una serie inglese. A qualcuno potrà sembrare superfluo, eppure nella galassia delle serie tv c’è un pianeta in cui sono tutti devoti a sua Maestà. Quello delle serie inglesi è un bel mondo, basta pensare a Sherlok, a Roma, a Misfits e ai tanti prodotti di qualità sfornati oltremanica. Dopo lunghe sessioni di serial a stelle e strisce, pur correndo il rischio di passare per un fighetto da cineclub, può essere molto interessante immergersi nelle cupe atmosfere inglesi. L’esperienza che se ne trae difficilmente delude. A pensarci bene però, tale fuga spesso rassomiglia a un’avventura fugace con un’amante sofisticata e conturbante, che poi, al fin della tenzone, non sarà generosa come vi aspettavate. Cercheremo di spiegarvi il perché.

    Scritta da Dennis Kelly e apparsa per la prima volta il 15 gennaio 2013 sull’emittente inglese Channel 4, Utopia è una serie piacevole con qualche tratto veramente interessante. Prendete il modo in cui Fight Club critica le multinazionali, l’ideologia anarchica di V per Vendetta, la violenza di Arancia Meccanica, i romanzi di James Ballard, metteteci un po’ di Casalleggio e qualche teoria complottistica alla Giulietto Chiesa, aggiungete ampi riferimenti alle mode geek, un’ottima fotografia, dei bravi attori e avrete Utopia.
    La serie racconta le disavventure di quattro persone, Becky, Ian, Grant et Wilson. Differenti per età, razza ed estrazione sociale, tutti e quattro nutrono una passione sfrenata per un graphic novel di nome Utopia. La loro situazione si complica notevolmente nel momento in cui, dopo una vita a smanettare sui web forum, decidono d’incontrarsi di persona per mettersi sulle tracce del fantomatico manoscritto della seconda parte di Utopia, in cui dovrebbero essere svelate cause e colpevoli delle più grandi catastrofi e nefandezze dei nostri tempi. L’incauta decisione li porta a essere perseguiti da “The Network”, un’organizzazione segreta, violenta e ramificata in tutti i centri di potere inglesi, anch’essa alla ricerca del manoscritto. La loro unica speranza di sopravvivenza si chiama Jessica Hyde, la figlia dell’autore del graphic novel, che a più riprese li tira fuori dai guai. Le sei puntate scivolano via su questo tracciato, immergendo lo spettatore in un’atmosfera decisamente angosciosa.

    Difficile dire in maniera definitiva quale sia il risultato restituito da questo strano insieme d’ingredienti. Di sicuro la serie ha una marca stilistica inglese netta. Ciò che vedi in Utopia ti connette immediatamente ad alcune figure forti dell’immaginario inglese come le periferie operaie e il mondo sottoculturale e underground. Ribadendo così, se mai ce ne fosse bisogno, il grande contributo che i sudditi di sua Maestà hanno apportato all’evoluzione delle mode e dei costumi occidentali almeno da un secolo a questa parte.
    Il problema di Utopia, se proprio vogliamo essere puntigliosi, sta nel modo in cui vengono impiegati tutti gli ingredienti che abbiamo elencato. Durante le sei puntate si ha spesso la sensazione che, contrariamente ad altre serie di successo, gran parte dei temi sollevati finiscano per precipitare in un punto solo: la questione politica. La complessità psicologica dei personaggi, le ambiguità narrative e la sovrapposizione sostanziale tra bene e male, che tanto successo hanno portato ad altre serie tv, in Utopia vengono poste in secondo piano. Questa serie, così come una solida tradizione intellettuale europea comanda, sembra al contrario capovolgere lo schema, lasciando che siano i processi globali dell’economia, della politica e del potere, a determinare nel complesso la vita dei diversi personaggi. Ciò non può che appiattire, saltuariamente, l’incedere della trama, togliendo fascino ai suoi protagonisti, che pertanto non riescono a entrare nel cuore dello spettatore così come accade in altre serie tv.
    Insomma se fosse ancora vivo il Senatore Joseph McCarthy sarebbero tempi duri per gli autori di Utopia, ma per fortuna oggi è un’altra storia.