
Vera storia di due presidenti
Contrario al carcere per l’ex premier Berlusconi, garante della legittimità delle critiche alla sentenza Esposito e della funzione centrale e di alternanza del movimento guidato dal Cav., non ostile entro condizioni certe a grazia o commutazione della pena, il presidente della Repubblica ha detto ieri che le sentenze non si possono che applicare e che una campagna pro crisi e sfascio sarebbe fatale. Berlusconi sapeva che il dettato della posizione ufficiale del Quirinale non avrebbe potuto di molto discostarsi da questo schema. Tutti aspettano il braccio di ferro Berlusconi-Napolitano, e in molti tra gli amici e i supernemici del Cav. lavorano per questo scenario.
Cerasa Napolitano, la nota e la lotta delle due sinistre di fronte al partito Quirinale - A settembre i dem vogliono abolire il “fine pena mai”
Contrario al carcere per l’ex premier Berlusconi, garante della legittimità delle critiche alla sentenza Esposito e della funzione centrale e di alternanza del movimento guidato dal Cav., non ostile entro condizioni certe a grazia o commutazione della pena, il presidente della Repubblica ha detto ieri che le sentenze non si possono che applicare e che una campagna pro crisi e sfascio sarebbe fatale. Berlusconi sapeva che il dettato della posizione ufficiale del Quirinale non avrebbe potuto di molto discostarsi da questo schema. Tutti aspettano il braccio di ferro Berlusconi-Napolitano, e in molti tra gli amici e i supernemici del Cav. lavorano per questo scenario. Ma vediamo come stanno le cose.
Non era mai successo, e non è mai più accaduto dopo il 1994, che un capo di governo lasciasse il banco dell’esecutivo alla Camera, dopo aver ascoltato il discorso del capo degli oppositori, per stringergli la mano e complimentarsi con lui. Berlusconi così si comportò dopo che Giorgio Napolitano aveva finito di parlare, all’indomani della vittoria napoleonica di Forza Italia nel 94. Il gesto era e fu percepito come clamoroso. Perché alla base del berlusconismo, radicato nelle sue origini, c’è molto impeto, come sempre succede quando si infrange un muro di potere costituito con un elemento forte di novità, e anche molta umoralità personale, ma il tratto caratteristico è un’ottimistica pretesa di fair play. Sembra curioso affermarlo dopo vent’anni di battaglie corpo a corpo. Sembra strano in un paese in cui suona esotica, strampalata, la sequela di affermazioni impeccabili di un Renzi sul Cav. e sul suo popolo, “voglio mandarlo in pensione, non in galera”, “voglio cambiare l’Italia, non gli italiani”, ma è proprio così.
La chiave del 1994 fu certo il fronte riunito da Berlusconi in opposizione ai “progressisti”, ultima incarnazione con Occhetto di un evanescente comunismo italiano in fuga da se stesso dopo la caduta del Muro di Berlino, ma il tratto pertinente era il sorriso, l’entusiasmo dell’uomo che ce l’aveva fatta, che dilagava con il suo immenso Ego tra cieli azzurri con la sua voce calda, inaudita, il suo microfono alla Frank Sinatra, che esigeva libertà per consentire a tutti gli altri di farcela; un tono che risultava tanto più fair in quanto l’establishment mediatico era cupo, tristo, rancoroso fino a punte che nel tempo diverranno barbariche, gli dava di gangster, di Mackie Messer, con anticipo sospetto su mene giudiziarie che non tarderanno ad arrivare. Il potere sfidato e sconfitto lasciava capire che era stato preso alla sprovvista, mostrava i segni legnosi di un gioco andato a male per l’intervento di una personalità stupefacente, che sconvolgeva abitudini e interessi inveterati. In un certo senso anche Napolitano di quell’establishment faceva parte, il suo circolo di amicizie girava intorno alla Banca d’Italia di Ciampi, a Luigi Spaventa, al furbissimo Giuliano Amato, agli eurocrati, e il suo senso iperprotocollare delle istituzioni faceva del capogruppo del Pds, nella sua celebre pignoleria, nel suo famoso ossequio alla forma, il contraltare naturale di un focoso imprenditore di prima generazione che si buttava in politica con idee e modi incandescenti.
Eppure si strinsero la mano, e fu appunto un unicum, cosa resa possibile dai toni di impeccabile opposizione, privi di rancore ideologico, che avevano distinto il discorso di Napolitano dalla quasi totalità dei pronunciamenti selvaggi contro il Cavaliere nero che aveva legittimato il fascista Fini e il leghista Bossi portandoli al governo insieme con la sua squadra di parvenu della politica romana. Dopo l’equivoco sulla proposta di nominare Napolitano con Monti commissario a Bruxelles invece della Bonino, impeccabile atto bipartisan del premier cui mise fine una rivolta psicologica capeggiata da Cesare Previti, energico compagnon d’armes che non voleva fare prigionieri, il tenore dei rapporti reciproci si raffreddò. Berlusconi mantenne un legame strutturale, sia pure antagonistico, con Massimo D’Alema, che era l’uomo forte, prima dell’opposizione post Occhetto e poi della confusa fase Dini e del governo dell’Ulivo; ma all’atto pratico mollò D’Alema per il Quirinale, non votò Napolitano presidente (la prima volta, nel 2006) salvo attestarne sempre le note doti di equilibrio e il tentativo quasi sovrumano di imparzialità nel mezzo di pressioni e tensioni tremende. Come andò a finire il tutto si sa, ma non è male proprio oggi ripercorrere l’ultima parabola.
Plebiscitato dagli elettori nel 2008, dopo il completo fallimento della “serietà al governo” Prodi 2, cosiddetta, Berlusconi ha vissuto anni, mesi, settimane e giorni di formidabile tormento su tutti i fronti, da quello dell’assedio alla persona, giudiziario e mediatico, fino alla politica economica nel trambusto a un certo punto quasi incomprensibile della crisi finanziaria. Quando ritenne di cedere senza chiedere le elezioni, il fair play con Napolitano presidente riemerse alla luce: lasciando tutti stupefatti, il Cav. varò per intuito e calcolo repubblicano la soluzione Monti, accettò il laticlavio a vita per il professore che lui stesso con la prima nomina a Bruxelles aveva legittimato come uomo pubblico e di stato, attraversò lunghi mesi di riconversione dell’immagine e della strategia, forte anche del terzismo di Monti e del fatto che lui non era più alla guida del governo ma la maggioranza era di larga unità nazionale, e s’intese sempre, fino al settembre del 2012, con le manovre di stabilizzazione di quello che i giornaloni americani avevano preso a chiamare Re Giorgio.
A rottura avvenuta, dopo incertezze pazze decise di riprovarci e corse per la rimonta, e qui tornò a incontrare con spontanea facilità il realismo e il senso dello stato del leader istituzionale, Napolitano, che si era comportato in modo così diverso da tutti i suoi arcinemici, da tutti i suoi oppositori ideologici. Certo, nella mentalità privatistica e pragmatica di Berlusconi, Napolitano forse poteva fare di più, e una parte dei suoi lo consigliava di diffidarne ogni giorno di più. Napolitano teneva a bada le orde dei linciatori, svolgeva il suo ruolo in punto di equilibrio sistematico, ma non aveva condotto a risultati di pacificazione, di rientro dall’anomalia di un sistema media-giudici che minacciava attraverso il Cav., di mestiere ridotto a fare l’imputato e il diffamato, l’autonomia e la dignità della politica tutta. Ma quando poi, con i suoi mezzi, e qualche colpo basso ben assestato sull’Imu, Berlusconi riuscì a risalire la china e ad annullare la prosopopea di un Bersani e del suo Pd, per non dire della liquidazione politica delle ambizioni parlamentari di Monti, ecco che il realismo tornò a stringere quelle due mani di stato così diverse. Il risultato lo conoscete tutti: la bestia nera del partito di Repubblica e dei manettari, un governo di larga coalizione presieduto dal nipote di Gianni Letta. Che scorno.
Una sentenza Esposito, la caccamiata, ci voleva, ed è arrivata. E’ un fattore di rigidità sul piano legale, e uno strumento di ulteriore degenerazione per tutti i piccoli omarini contenti di poter dare del delinquente a Berlusconi, e si vedrà quali margini si possa autoassegnare il presidente della Repubblica rieletto per scelta generale e unanime, ma voluto fermamente in primo luogo da Berlusconi e dai suoi, nel tentativo di sanare l’evidente vulnus alla sovranità democratica procurato dalla magistratura combattente. Comunque sia, il filo del realismo e del rispetto per i milioni di elettori di Berlusconi, che è la specifica guida istituzionale del gentiluomo meridionale, ex comunista, già riformista e migliorista di scuola europeista, dovrebbe resistere nelle forme possibili. E Berlusconi potrebbe trovare il modo di ricominciare a sorridere, anche nelle condizioni maligne approntate per lui dai suoi arcinemici togati e di redazione, opponendo realisticamente legittimità, per esempio Marina come continuità anche fisica della sua presenza in scena, allo strame di legalità travestito da sentenza di condanna del maggiore contribuente italiano per evasione fiscale.
PS. Marina, we don’t take no for an answer.
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