Marina, Marina, Marina

Giuliano Ferrara

Ve la dà lui la soap, cari snobbini. E’ un’epoca intera che ci rompete i coglioni con Camelot, la saga dei Kennedy, di padre in fratello, di fratello in fratello, di zio in nipote, saga familiare fatale della democrazia americana, fino alla recente nomina di una kennedyna ambasciatrice a Tokyo. E’ tanti anni ormai che passate le vostre vacanze liberal a Martha’s Vineyard invece che all’isola d’Elba. Vi piace la “familiarità” politica della east coast, i Clinton ospiti di Ted, Obama a cinque stelle nell’isoletta chic, Agnelli l’Avvocato parte della compagnia, e la signora Onassis e Oscar de la Renta.

    Ve la dà lui la soap, cari snobbini. E’ un’epoca intera che ci rompete i coglioni con Camelot, la saga dei Kennedy, di padre in fratello, di fratello in fratello, di zio in nipote, saga familiare fatale della democrazia americana, fino alla recente nomina di una kennedyna ambasciatrice a Tokyo. E’ tanti anni ormai che passate le vostre vacanze liberal a Martha’s Vineyard invece che all’isola d’Elba. Vi piace la “familiarità” politica della east coast, i Clinton ospiti di Ted, Obama a cinque stelle nell’isoletta chic, Agnelli l’Avvocato parte della compagnia, e la signora Onassis e Oscar de la Renta. Clinton? A proposito. La soap perfetta, quella sì, con le corna mostruose a mezzo stagista e con tanto di sigaro presidenziale agitato sotto il tavolo dello Studio Ovale, la moglie Hillary che protegge la carriera del marito pensierosa del comune destino politico, la giostra delle coiffure dell’erede al trono, la signora dei democratici tricologicamente impegnata che può perdere le primarie contro Obama, altro cliente di famiglia, ma solo per divenire segretario di stato e poi candidata alla Casa Bianca; e alle convention democrat arriva Bill, popolarissimo puttaniere e augusto dinasta, a sistemare tutto con un grande discorso in favore del popolo di quelli che piacciono a Furio Colombo, più gli auguri di buona presidenza alla mogliettina. E George Herbert Walker Bush? Ah, lui sì che era un dinasta buono, sì, va bene, fu capo della Cia, un tipo tosto, ma è uno di cultura episcopaliana, vecchia aristocrazia del Maine, va a pesca a Kennebunkport, non il texano born again christian, non il figliolo George W. Bush che gli succede al trono legittimamente ma per i gusti liberal è rozzo, fa la guerra contro i nemici, che volgarità.

    Non voglio dilungarmi. Potrei citare Nehru e sua figlia e il nipote Rajiv e la Sonia Gandhi, fiore italiano di Orbassano (Torino), ma non voglio fare lo specialista delle dinastie familiari nelle più grandi e popolose democrazie del mondo. La democrazia una cosa ce l’ha di buono: sottopone al voto popolare le dinastie, ciò che non accade con le procedure della legge salica. Affetto da complesso di superiorità, ormai una malattia, mi limito dunque a segnalare ai provincialotti che ora sparlano di Marina Berlusconi come di una trovata bassotelevisiva, una novela sudamericana fuori moda, la loro grottesca ipocrisia: se è dei Kennedy, la saga è Camelot, tutto si volge nella fortezza di Re Artù, un po’ Chrétien de Troyes un po’ Hbo e serie televisiva d’alto bordo; se è Clinton, mamma mia che famiglia ricca di opportunità democratiche; se è Bush, il giudizio è politico e discende di padre in figlio. Se è Berlusconi, cari cretinetti, è la soap che le persone perbene non dovrebbero mai scegliere quando fanno zapping. Ve la dà lui, la soap.

    Marina Berlusconi, figlia del dinasta, di cui si dice che potrebbe lanciarsi come soluzione politica ed elettorale e di governo al fianco e al posto di un padre ristretto ai domiciliari o in galera dal giudice Esposito, è per formazione un imprenditore, è donna, è piuttosto giovane per la media italiana, ha mostrato in molte occasioni di esser capace come manager e come attenta osservatrice delle cose italiane. Memorabili alcune sue interviste combattive in cui dava a De Benedetti, il paron in guanti bianchi e con la nomea democratica, la tessera numero uno, l’editore dei nuovi mozzorecchi, lezioni di etica e di politica. A proposito di politica, la conosce. Almeno come la conosceva il padre Silvio nel 1994, quanto gli bastò per dominare un ventennio di vita italiana e costringere le belle menti d’apparato di una sinistra squinternata a uno stato di minorità culturale civile e politica. Ha un cognome riconoscibile, del quale si fidano ancora in tanti. Non sappiamo, ma presumiamo, che la sua performance sarebbe ottima, se solo le venisse la voglia di entrare in politica e di correre con le truppe che in tanti anni hanno seguito la leadership paterna.

    Il giornalista collettivo all’inizio dell’avventura disse che era una storia di plastica, che non reggeva, e si esercitò negli sbeffeggiamenti, salvo dolersi degli scapaccioni poi ricevuti. E adesso ricomincia, quel supremo coglione del GC. Marina non si può. In un colpo di fantasia, evoca il conflitto di interessi, che vale anche per lei. In più fa del sarcasmo sulla trovata. E va bene, ma allora, se è affetta da quella sindrome sconosciuta che è il conflitto di interessi, vale per lei anche l’effetto sorpresa, l’offerta politica che non ti aspettavi, l’essere quella candidatura una soluzione a un problema storico della democrazia italiana: nel 1994 si trattava di non consegnare l’Italia alla carovana progressista di Occhetto diretta dalle procure di Tangentopoli, oggi si tratta di difendere il cittadino elettore da un esproprio di sovranità compiuto dalla politica intollerante e scialba in mano agli Epifani e ai Vendola, con l’aiuto di una magistratura politicizzata e faziosa e un po’ rimbambita, una magistratura attivistica, ossessionata, fobica, che processa i cani per furto di formaggio, e chiama a testimonio i loro cuccioli, come il Dandin di Racine e degli Attaccabrighe, gran commedia secentesca. Tra i nemici dell’Arcinemico circola un incubo, in realtà, e il sarcasmo fa da esorcismo.
    Berlusconi babbo ha pensionato molti di noi opinionisti che volevano fargli la lezione, non escluderei che Berlusconi figlia ci seppellisca tutti, e senza tanti complimenti.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.