
Cav. o no, il problema è nell'abolizione dell'art. 68. Parla il prof. Olivetti
La condanna inflitta dalla Cassazione ai danni di Silvio Berlusconi è necessariamente slegata dal percorso di riforme costituzionali che sta impegnando il governo delle larghe intese, ma fino a che punto? L'Assemblea costituente, come noto, aveva previsto uno scudo per evitare che i leader di partito fossero continuamente sottoposti al controllo delle procure: senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza, nessun parlamentare poteva essere sottoposto a un procedimento penale e la stessa autorizzazione era necessaria per eseguire la detenzione conseguenza di una sentenza irrevocabile. “Il caso di Berlusconi non può essere messo in parallelo con quanto ipotizzato dai costituenti”, spiega al Foglio Marco Olivetti, docente di Diritto costituzionale dell'Università di Foggia.
di Matteo Mascia
La condanna inflitta dalla Cassazione ai danni di Silvio Berlusconi è necessariamente slegata dal percorso di riforme costituzionali che sta impegnando il governo delle larghe intese, ma fino a che punto?
L'Assemblea costituente, come noto, aveva previsto uno scudo per evitare che i leader di partito fossero continuamente sottoposti al controllo delle procure: senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza, nessun parlamentare poteva essere sottoposto a un procedimento penale e la stessa autorizzazione era necessaria per eseguire la detenzione conseguenza di una sentenza irrevocabile. “Il caso di Berlusconi non può essere messo in parallelo con quanto ipotizzato dai costituenti”, spiega al Foglio Marco Olivetti, docente di Diritto costituzionale dell'Università di Foggia e componente della commissione per le Riforme costituzionali scelta da Enrico Letta per proporre una serie di modifiche in tema di forma di governo ed architettura dello Stato. “Le condotte contestate all'ex presidente del Consiglio riguardano la sua attività imprenditoriale – spiega il docente – e al termine degli anni Quaranta non era pensabile che uno dei più importanti attori della scena politica fosse allo stesso tempo protagonista in campo economico o finanziario. Ma i costituenti, con la versione originale dell'articolo 68 avevano adottato un meccanismo che consentiva di assicurare il primato della politica, subordinando lo svolgimento di un processo a carico di un membro del Parlamento alla previa concessione di una autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza. Nel corso della storia repubblicana vi furono molti abusi: l’autorizzazione a procedere fu negata quasi sempre (o addirittura le Camere bloccarono i processi a carico dei parlamentari semplicemente evitando di pronunciarsi), generando così una situazione di sostanziale impunità. Ma la riforma che nel 1993, sotto l'impulso di Tangentopoli, ha ristretto il raggio d’azione dell’autorizzazione a procedere, ha forse scardinato un equilibrio, sia pur imperfetto, fra politica e giustizia”.
“E’ paradossale – rimarca il professore – che molti fra coloro che oggi difendono la Costituzione, considerandola ‘intoccabile’ perché nata dalla resistenza o perché scritta da insigni maestri del diritto, dimentichino che proprio i padri costituenti avevano previsto, con la prerogativa dell'immunità, una norma che poneva incisivi limiti alla repressione dei reati commessi dai parlamentari”. In seno alla commissione dei saggi “il tema del rapporto tra il potere giudiziario e potere politico non è stato mai sollevato, anche in quanto la riforma della giustizia non rientra fra i temi che la commissione deve studiare”. “In ogni caso, non penso sia possibile tornare alla formula originaria del 68 – ragiona Olivetti – Una soluzione su cui riflettere potrebbe essere quella di chi, come Costantino Mortati, proponeva di rovesciare il sistema allora previsto per l'autorizzazione a procedere, stabilendo che la Camera potesse negare l’autorizzazione a procedere, entro un termine tassativo, e a maggioranza assoluta, indicandone la motivazione. In assenza di un diniego, l’autorizzazione a procedere doveva ritenersi concessa”.
“Ma il vero problema è un recupero di autorevolezza da parte della politica: solo questo può consentire un riequilibrio dei rapporti, oggi sicuramente squilibrati, e non solo in campo penale, fra politica e giustizia”.
“Tornando al caso specifico del senatore Berlusconi e alle conseguenze della sentenza della Cassazione – conclude il costituzionalista – l'unico strumento utilizzabile, ove lo si ritenesse opportuno, mi pare il potere di grazia. Esso può servire sia a correggere decisioni giudiziarie ritenute per varie ragioni ingiuste, sia per intervenire in casi in cui, pur essendovi stata una corretta applicazione del diritto, ciò sia imposto da superiori ragioni di Stato, come è ad esempio accaduto nel recente caso della grazia ad uno dei rapitori di Abu Omar. Spetta al presidente della Repubblica valutare, nel rispetto delle procedure previste in materia, se questo potere possa essere utilizzato o meno nel caso in esame”.
di Matteo Mascia


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