Maramaldo, Rodomonte e la Cavaliera

Giuliano Ferrara

Viviamo nel paese di Maramaldo. Ma c’è un Rodomonte, e speriamo bene. Fabrizio Maramaldo era il capitano di ventura che in un agosto del XVI secolo “uccise l’uomo morto”, secondo la leggenda nera abrogando per viltà ogni regola cavalleresca nella lotta tra nemici. Rodomonte è un personaggio di Boiardo e dell’Ariosto, un outsider, un moro, un total black il quale perde dopo aver combattuto con orgoglio e superbia, e alla fine se ne fugge nell’inferno bestemmiando.

Merlo Berlusconi, Napolitano e Letta. I tre "vorrei ma non posso" d'Italia - Di Michele Fermi immagine sulla balconata azzurra del Cav. prigioniero

    Viviamo nel paese di Maramaldo. Ma c’è un Rodomonte, e speriamo bene. Fabrizio Maramaldo era il capitano di ventura che in un agosto del XVI secolo “uccise l’uomo morto”, secondo la leggenda nera abrogando per viltà ogni regola cavalleresca nella lotta tra nemici. Rodomonte è un personaggio di Boiardo e dell’Ariosto, un outsider, un moro, un total black il quale perde dopo aver combattuto con orgoglio e superbia, e alla fine se ne fugge nell’inferno bestemmiando.

    I commenti di Repubblica e del Fatto alla presunta caduta di Berlusconi dopo la sentenza sono Maramalderia allo stato puro. Marco Dettaglio, istruito dalle procure di cui è portavoce, specula alla caccia del codicillo che possa portare l’Arcinemico in cella, tra le sbarre, invece che ai domiciliari. Si presume morto per mano giudiziaria l’uomo che non si ebbe il coraggio e la forza di sconfiggere cavallerescamente, e lo si uccide in effigie con penna velenosa, e per procura: precisamente lo schema dell’assassinio del Ferrucci da parte del Maramaldo. La cronista mondana di Rep., non la Aspesi, l’altra, racconta la faccia triste o maschera triste del leader colpito dalla Cassazione: chissà che avrebbe scritto se la faccia fosse stata allegra, incongruamente. Scarsa inventiva, immaginazione pigra, vendetta che si presume postuma e già bella fredda: il nemico è triste, esultate compagni di lettura e di tribuna.

    Tutto questo naturalmente è disgustoso. Gli hanno fatto la festa con accanimento di pandette, gioiscono e festeggiano con accanimento di stupidi aggettivi e di fotografie che immaginano imbarazzanti per lui, e sono solo rivelatrici del loro occhio torvo (la lacrimuccia, l’abito nero, la fedeltà cieca di una “piccola” folla, la fidanzata e il barboncino). Non uno dei presunti intellettuali e opinionisti che la sera leggono Kant ha osato far sentire una voce di moderazione e di equilibrio, mantenendo il punto dell’avversità civile ma imponendo un tono o una forma decenti, tutti allineati e coperti sotto la salva di fuochi d’artificio nata dalla sottana di un giudice cassazionista e dalle molte sottane togate che hanno costruito risibili accuse. Lasciamo perdere il Financial Times, decollato nella sua intelligenza da un editorialista scemo. Ho parlato con un suddito di Sua Maestà spiritoso e intelligente, e mi ha detto: “L’Italia è un paese bizzarro in cui si condanna per evasione fiscale il maggiore contribuente dell’erario”. Gli inglesi che non parlano per gola, dai danarosi confini della City di Londra, sono fatti così. 

    Ma quali sono per noi le conseguenze del disgusto, a parte sentirci antropologicamente superiori (ed è un brutto sentimento che scacciamo via volentieri)? Ecco, l’attenzione si sposta dalla goffaggine dei Maramaldi all’orgoglio rodomontesco di Berlusconi, creatura immaginaria prima ancora che persona viva e vegeta. Quale politica sceglie di fare la “maschera triste” del grande attore, senza rivali su un palcoscenico di pallide marionette, nel momento in cui pretendono di cacciarlo per sentenza e decreto dalla politica? Dove porta una storia di fiducia e di incandescenza, finita ancora una volta con nove milioni di voti nel febbraio scorso?

    Il Cav. è quel tizio che è riuscito a vincere tre volte le elezioni e, alla quarta volta, le ha vinte anche perdendole. Arrivato a un’incollatura dal premio di maggioranza (zero virgola qualcosa), non si è perso d’animo. Rovesciando tutto, ha detto: rieleggiamo Napolitano e facciamo un governo di larga coalizione perché questo paese ha bisogno di cura. Il retroscenista pigro, che è una versione poco aggraziata del giornalista collettivo, pensava che ora, dopo la condanna definitiva, il nostro Rodomonte si sarebbe dedicato allo sfracello. Invece si è dedicato alla stabilità di un progetto, fragile e non amato ma necessario. Ha reso omaggio al principio di realtà appena rimesso a nuovo dalle parole di Napolitano alle Camere. Volevano impedirgli perfino di protestare, di accogliere la solidarietà dei suoi e anche la loro rabbia, perché i Maramaldi sono fatti così, non vogliono sentire il grido della vittima sgozzata senza pietà e senza rispetto delle regole. Hanno protestato invece, gli amici di Rodomonte, e la protesta continuerà, ma il loro principe ha tenuto fermo il timone dell’unica vera difesa che resta alle persone con la testa sulle spalle nell’Italia dei pasticci e dei mozzorecchi: la politica.

    Solo che, ritiratogli il passaporto e le onorificenze, ora lo cacciano dal Senato e poi lo restringono nella libertà personale e gli confermano la sospirata ineleggibilità. E allora? Allora Marina. Il marchio di fabbrica. La donna minuta e tosta. Il rinnovamento anagrafico come salto di generazione, letteralmente. La sorpresa. Il cognome fatale. Il simbolo della continuità. Una personalità che suona squillante la tromba dell’amore paterno e della devozione filiale. La donna che ha dato le interviste migliori nei momenti peggiori. Che guida un impero e può rinnovare, nella sua parte politicamente forte e produttiva, i fasti del conflitto di interessi, cioè la libertà di un imprenditore di fare politica nel paese dei borghesucci evirati e castigati, con quelli buoni spediti a lavorare all’estero. Una che può farcela, solo che abbia la voglia di farcela.

    Il governo è oggi al sicuro anche per le parole assennate di Berlusconi dopo la provvisoria sconfitta giudiziaria. Ma prima o poi si rivota. Ed è sul terreno della sovranità democratica che Berlusconi ha sempre dato il meglio di sé. La sua versione femminile, la fragilità d’acciaio dell’improvvisazione alla 1994, tutto questo è una garanzia che il prigioniero libero possa in futuro ancora aiutarci, sulla scia di fenomeni della democrazia moderna noti come i Kennedy, i Clinton, i Bush, a non diventare prigionieri anche noi. Dopo l’unzione democratica, ecco la dinastia democratica. Ecco la Cavaliera. La Cav. In alto i calici.

    Merlo Berlusconi, Napolitano e Letta. I tre "vorrei ma non posso" d'Italia - Di Michele Fermi immagine sulla balconata azzurra del Cav. prigioniero

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.