Libri da Babuino

Redazione

Dal prossimo gennaio, è ufficiale, chiuderà la libreria Feltrinelli di via del Babuino. La prima aperta a Roma, nel 1964: mezzo secolo tondo e molte storie da raccontare, mentre è già partita la gara al “mi ricordo, sì, mi ricordo”, con l’immancabile corollario del “c’era questo, c’era quello”. C’erano proprio tutti, effettivamente: c’erano Elsa Morante e il Gruppo ’63, Marcello Mastroianni e Gabriel García Márquez, Monica Vitti e Federico Fellini, Plinio De Martiis e Mario Schifano, Gian Maria Volontè e Mary McCarthy, Jean-Louis Trintignant e Simone Signoret…

    Dal prossimo gennaio, è ufficiale, chiuderà la libreria Feltrinelli di via del Babuino. La prima aperta a Roma, nel 1964: mezzo secolo tondo e molte storie da raccontare, mentre è già partita la gara al “mi ricordo, sì, mi ricordo”, con l’immancabile corollario del “c’era questo, c’era quello”. C’erano proprio tutti, effettivamente: c’erano Elsa Morante e il Gruppo ’63, Marcello Mastroianni e Gabriel García Márquez, Monica Vitti e Federico Fellini, Plinio De Martiis e Mario Schifano, Gian Maria Volontè e Mary McCarthy, Jean-Louis Trintignant e Simone Signoret… Tutti di casa, nella casa dei libri che voleva essere diversa dalle altre, più modernizzante, politicante, elettrizzante, militante. Lì si potevano comprare i primi poster di Che Guevara e pure le cravatte di Carnaby Street, nell’anno (1969) in cui la strada inglese della moda si gemellò proprio con via del Babuino. Al passo con i tempi e i ritmi nuovi: così l’aveva pensata Giangiacomo Feltrinelli, che aveva personalmente scelto i locali a un passo da piazza del Popolo, negli anni in cui molta vita cultural-mondana – romana, nazionale e anche internazionale – si addensava lì intorno.

    Noi, però, non ci uniremo al coro un po’ stucchevole che tutto trasforma nel polveroso salotto di Nonna Speranza, compreso (non sia mai) quel mondo che si voleva e si immaginava “non-conformista, controcorrente, irriverente, provocatorio, trasgressivo, impietoso e scomodo, fuori dal coro, anti-qua e contro-là. Fra generali consensi”, come direbbe Alberto Arbasino. Non lo faremo, se non altro perché sentiamo di stimare di più il pappagallo impagliato del citato salotto rispetto a Günter Grass, un altro habitué del Babuino. Il nostro vero, profondo rimpianto riguarda qualcosa e qualcuno che con quell’irripetibile Feltrinelli aveva parecchio a che fare, nella Roma tra i Sessanta, i Settanta e anche un po’ degli Ottanta. Stiamo parlando di un anonimo eroe, dell’ormai estinto ladro di libri (libri comuni, venduti in libreria, non quelli preziosissimi delle biblioteche storiche: lì i ladri imperversano ancora). Nobile e ardimentosa figura che in quella sede visse, favorita dall’atmosfera disinibita e compagnarda, una stagione rigogliosa. Se non proprio incoraggiati almeno non abbastanza dissuasi, giovani e meno giovani sinistrorsi provarono, tra i banchi della Feltrinelli di via del Babuino, l’ebbrezza dell’esproprio gentile e culturalmente autorizzato, nell’ordine naturale delle cose. I libri erano ancora – oggi sembra incredibile – oggetto di vero e struggente desiderio, mentre le tasche erano spesso vuote e, soprattutto, non era stato ancora inventato il sistema di allarme anti taccheggio. Ma aver letto o meno un certo romanzo o un certo pamphlet faceva ancora la differenza, e tanto bastava a trasformare giovani intellettuali poveri in ladri con destrezza. Nemmeno il capo libraio, il baffuto Carlo Conticelli, uomo colto, simpaticamente burbero, sempre disponibile ai consigli, rappresentava un efficace deterrente. Se ti beccava – capitava – non chiamava la celere, è ovvio. La stessa Inge Feltrinelli, rievocando tempo fa gli anni fastosi e festosi del Babuino, raccontava che solo Fellini, tra i molti clienti celebri della libreria, comprava e pagava subito in contanti, in tempi “in cui nessuno aveva un soldo”. Si rubava di tutto: Sartre e Lin Piao, Fachinelli e Pasternak, Bulgakov e Borges, London e Majakovskij. Qualcuno ricorda anche vocabolari spariti sotto capaci cappotti e/o eskimi. Oggi, bisognerebbe trovare la voglia di rubare Saviano o Travaglio. Ma poi come la mettiamo con la ferita alla legalità?