Manovre sul patto del Corriere e dubbi sull'investimento Rcs

Redazione

La contesa per il controllo del Corriere della Sera è durata due mesi, tra zuffe mediatiche e la battaglia per il controllo della società editrice. John Elkann, presidente di Fiat, in contrapposizione a Diego Della Valle, imprenditore del lusso, mediatore oscillante il banchiere di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, ha ottenuto la maggioranza relativa. Ora deve dare al tutto una struttura di controllo. Oggi si riunirà il patto di sindacato e il cda: i soci dovranno decidere, alla luce dell’aumento di capitale e della conseguente modifica dell’azionariato, se ci sarà e in che modo avverrà una riedizione del patto stesso.

Brambilla I “due padroni” del Corriere, i regolatori e il “puparo” Bazoli - Merlo Parla Geronzi “Per comandare in Rcs servono soldi, DDV ce li metta, le banche escano” - Brambilla Della Valle fa il prezioso con Rcs, ma chi ora disprezza comprerà nel 2014?

    La contesa per il controllo del Corriere della Sera è durata due mesi, tra zuffe mediatiche e la battaglia per il controllo della società editrice. John Elkann, presidente di Fiat, in contrapposizione a Diego Della Valle, imprenditore del lusso, mediatore oscillante il banchiere di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, ha ottenuto la maggioranza relativa. Ora deve dare al tutto una struttura di controllo. Oggi si riunirà il patto di sindacato e il cda: i soci dovranno decidere, alla luce dell’aumento di capitale e della conseguente modifica dell’azionariato, se ci sarà e in che modo avverrà una riedizione del patto stesso, strumento concertativo finora usato per controllare, con relativamente pochi soldi di tanti soci, compagnie di grandi dimensioni come la Rizzoli Corriere della Sera (Rcs). Alla vigilia, pochi avevano le idee chiare, tant’è che si parla di una riunione interlocutoria.

    Eppure, battaglie tra soci a parte, tutti gli azionisti, influenti o meno che siano, hanno lo stesso cruccio: ci si chiede se l’investimento nel Corriere sarà profittevole in un contesto di mercato (editoriale e pubblicitario) dove gli utili sono in calo e dove per giunta la concorrenza si aggrega spinta dall’urgenza di arginare la forza di Google nella pubblicità online; è stato questo il motore della recente maxi fusione tra i due colossi del marketing (ex concorrenti) come la francese Publicis e l’americana Omnicom annunciata lunedì. Inoltre, è valso la pena combattere e dare risorse a una multinazionale dell’editoria, qual è Rcs, dalla quale non ci si attende una congrua soddisfazione economica nel medio periodo e per cui è invece già preventivata una ricapitalizzazione da 200 milioni entro il 2015? Si fanno queste domande commentatori, analisti e osservatori vicini a Rcs, colpiti dalla “parcellizzazione” odierna del Corriere a confronto con la volontà d’aggregazione emersa dell’alleanza tra Publicis e Omnicom, prodromo di altre fusioni nel settore (dice il Financial Times).

    A fare i conti in tasca al Corriere, come ha fatto il Giornale, si capisce che dell’aumento di capitale da 410 milioni ne resteranno in cassa solo 245. Perché 150 milioni torneranno alle banche, azioniste e creditrici, come Intesa Sanpaolo, o solo creditrici come Unicredit. Certo, arriveranno i denari della vendita del portale web Dada e dell’immobile di via San Marco (adiacente a quello storico di Via Solferino),  ma saranno risorse poi assorbite dai costi di gestione. Ed ecco che il saldo è di 245 milioni. Su questi si dovrà giocare il piano di rilancio dell’amministratore delegato, Pietro Scott Jovane, che punta a investire 118 milioni nell’editoria digitale. La pubblicità è attesa in calo. Le uscite dei dipendenti e dei giornalisti al Corriere e alla Gazzetta dello Sport sono state approvate dall’azienda – tra le critiche del comitato di redazione – e si attende l’ok alla cassa integrazione (la prima volta nella storia) da parte del ministero del Lavoro. I soci storici come Benetton, Merloni, Rotelli, hanno speso molto per restare nel Corriere senza guadagnarci. E adesso che non hanno aderito alla ricapitalizzazione, si sono diluiti.
    Ad avere il controllo del “parcellizzato” Corriere adesso c’è la Fiat con il 20 per cento delle quote. Elkann vorrebbe un patto in grado di aggregare il 41 per cento dell’azionariato (il precedente “occupava” il 60 per cento). Non si conoscono le intenzioni del nuovo socio Urbano Cairo, il capo di Cairo Communication – già editore di periodici, fondatore di una concessionaria di pubblicità e proprietario della terza rete nazionale per ascolti, La7 – che ora possiede il 2,8 per cento di Rcs. Della Valle, al netto delle promesse, è salito poco e detiene l’8,8 per cento, ma dei patti è sempre stato arcicritico. Il secondo azionista, Mediobanca, forte del 15,5 per cento delle quote, nicchia: ha già preventivato l’uscita dai patti di sindacato di cui finora ha fatto parte. Anche Unipol ne uscirà, come ha annunciato ieri l’ad Carlo Cimbri. E’ dunque difficile capire quali alleanze si realizzeranno: a chi si avvicinerà Della Valle oppure se Cairo si farà inglobare in quello che qualcuno chiama il “pattino di Rcs”. Della Valle potrà farsi forte della liquidità ottenuta dalla vendita della sua quota nei grandi magazzini Saks (326 milioni di dollari) alla canadese Hudson Bay: la userà per aggredire il flottante Rcs (poco inferiore al 20 per cento), per attutire le perdite dell’avventura ferroviaria di Italo (un debito da 745 milioni) o per tutelare il business della moda di Tod’s che gli analisti di Ubs prevedono sarà meno proficuo che in passato?

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