Dal pulpito di Atene

Letta sparge europeismo sulle ferite di un'Europa sempre più scettica

Marco Valerio Lo Prete

Qualche piccolo segno “più” negli indicatori economici europei si vede, ma nulla che basti a sollevare la coltre di euroscetticismo che è tornata ad avvolgere – in queste settimane che precedono le elezioni tedesche di settembre – le cancellerie e l’establishment intellettuale del continente. Spicca, a maggior ragione, l’atteggiamento del governo di Roma che, pur non lesinando critiche ad alcune scelte recenti delle istituzioni comunitarie, continua a reclamare a gran voce una maggiore integrazione dell’Ue.

    Qualche piccolo segno “più” negli indicatori economici europei si vede, ma nulla che basti a sollevare la coltre di euroscetticismo che è tornata ad avvolgere – in queste settimane che precedono le elezioni tedesche di settembre – le cancellerie e l’establishment intellettuale del continente. Spicca, a maggior ragione, l’atteggiamento del governo di Roma che, pur non lesinando critiche ad alcune scelte recenti delle istituzioni comunitarie, continua a reclamare a gran voce una maggiore integrazione dell’Ue. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, durante la visita di ieri ad Atene, ha tenuto fede alla linea chiarita sin dal suo discorso d’insediamento alle Camere, quella favorevole agli “Stati Uniti d’Europa” di spinelliana memoria, rafforzata anche dalla presenza nella compagine di governo di due europeisti doc come i ministri Emma Bonino ed Enzo Moavero Milanesi. “L’Europa è nata qui, è andata in crisi qui e risorgerà qui – ha detto ieri alla fine dell’incontro con l’omologo greco, il conservatore Antonis Samaras – Sono anche qui per dire parole forti di incoraggiamento nei confronti della Grecia e fare gesti concreti di incoraggiamento”. Da qui le felicitazioni per “un’ottima notizia” come il via libera europeo al Tap, il Gasdotto Trans-Adriatico, che “avrà effetti benefici per i prossimi 20 anni perché sposta il cuore degli hub energetici futuri e rende centrale l’area del Mediterraneo”, e la promessa che gli imprenditori italiani giocheranno un ruolo nel processo di privatizzazione degli asset greci. Letta ha colto l’occasione per annunciare che un piano di privatizzazioni è in preparazione anche per l’Italia: “Si farà in autunno e sarà un piano largo”. Certo, “sulla Grecia l’Europa negli ultimi anni ha compiuto forti errori”, ha detto Letta, causando un ulteriore “avvitamento” della crisi, ma adesso “proprio l’occasione l’anno prossimo delle due presidenze dell’Ue, greca e italiana, dimostrerà che l’Europa e il futuro dell’Europa sono legati alla capacità di due paesi dalle tradizioni millenarie, che hanno dato il loro Dna alla cultura europea e non sono due paesi del passato ma due paesi del futuro”. Il tutto mentre la Commissione europea apriva il suo rapporto sullo stato di avanzamento del programma di aiuti della Troika (Ue, Bce e Fmi) con queste parole: “La Grecia continua a progredire complessivamente nell’ambito del Secondo programma di aggiustamento, anche se spesso lentamente, con molte azioni che continuano a essere ritardate”. E mentre il ministro dell’Economia tedesco, Wolfgang Schäuble, esortava tutti a mantenere la “pressione” sui greci, “ancora molto lontani dalla vetta della montagna”.

    I “no euro” di Monde diplomatique e Ft
    D’altronde il governo italiano sembra abituato, di questi tempi, a distinguersi per vocazione europeista. Ieri il ministro Moavero Milanesi ha ricevuto a Roma il ministro francese degli Affari europei, Thierry Repentin, che poche ore prima al Corriere della Sera aveva chiosato così la posizione del nostro esecutivo sugli Stati Uniti d’Europa: “L’Italia è un pungolo importante. Noi francesi restiamo prudenti”.
    I segnali di una stabilizzazione dell’economia non mancherebbero: ieri il Centro studi di Confindustria ha rilevato un incremento dello 0,2 per cento della produzione industriale italiana a luglio rispetto al mese precedente, dopo l’altro aumento di giugno (anche se la distanza dal picco di attività nell’aprile 2008 si attesta a meno 24,5 per cento). Per l’Istat, l’indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane è salito a luglio a 79,6 da 76,4 di giugno. A crescere sono più in generale gli indici predittivi per il settore manifatturiero di tutta l’Eurozona. Tuttavia sempre in queste settimane il governo olandese, a lungo considerato alleato “rigorista” di Berlino, ha fatto capire di preferire un allineamento con Londra; ora chiede “un’Ue più modesta, partendo dal principio ‘a livello europeo solo quando necessario, a livello nazionale quando possibile’”. In vista delle elezioni di settembre, anche la leadership tedesca è diventata più attendista del solito. Il disincanto regna pure tra quotati analisti internazionali. Il Financial Times, in un editoriale non firmato, descrive la ripresa europea come “sbilanciata” tra nord e sud e dunque foriera di ulteriori problemi. L’economista Frédéric Lordon, sulla prima pagina del Monde diplomatique di agosto, propone “un’uscita concertata e organizzata dall’euro” come unica via per fermare “un’austerity perpetua”. Sulla rivista statunitense Foreign Affairs, invece, analisti come Nicolas Berggruen e Nathan Gardels sostengono che per l’Ue siamo al “Federazione europea o morte”. Più ambiziosi ma non per forza di cose più ottimisti.