
Papa in piedi
Gay, pedofili e quattrini. L'aeroversione di Francesco
Parla di ogni cosa, Papa Francesco, tra i sedili grigio-verdi dell’airbus 330 che lo riporta (assieme ai giornalisti al suo seguito) a Roma dopo la settimana della gioventù passata tra il santuario di Aparecida, la spiaggia di Copacabana e la favela di Varginha. Un’ora e venti in cui il Pontefice, stando in piedi, ha risposto alle domande della stampa. A tutte, senza eccezioni, senza glissare su quei temi su cui la tradizionale diplomazia vaticana aveva sempre preferito mantenere il riserbo. Subito gli viene chiesto come intenda affrontare la questione della cosiddetta lobby gay.
Parla di ogni cosa, Papa Francesco, tra i sedili grigio-verdi dell’airbus 330 che lo riporta (assieme ai giornalisti al suo seguito) a Roma dopo la settimana della gioventù passata tra il santuario di Aparecida, la spiaggia di Copacabana e la favela di Varginha. Un’ora e venti in cui il Pontefice, stando in piedi, ha risposto alle domande della stampa. A tutte, senza eccezioni, senza glissare su quei temi su cui la tradizionale diplomazia vaticana aveva sempre preferito mantenere il riserbo. Subito gli viene chiesto come intenda affrontare la questione della cosiddetta lobby gay, e lui risponde che “si deve distinguere il fatto che una persona è gay dal fatto di fare una lobby”. Le lobby esistono, e “non tutte sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. Frase a effetto, toni nuovi, ma nessuna rivoluzione. Il Papa non ha rotto alcun tabù né ha fatto annunci eclatanti. Semplicemente, si è rifatto al catechismo della chiesa cattolica, articolo 2358, per la precisione: “(…) Uomini e donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto, compassione e delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”. Il problema, in sostanza, “non è avere queste tendenze, ma fare lobby. Questo è il problema più grave”, ha chiosato Bergoglio.
Sul caso di monsignor Battista Ricca, il prelato dello Ior finito al centro di fughe di notizie circa il suo passato turbolento fatto (secondo il dossier pubblicato dall’Espresso) di risse in locali gay e di relazioni intime con un capitano dell’esercito svizzero, Francesco assicura che “è stato fatto ciò che il diritto canonico manda a fare, e cioè l’investigatio previa”. Ma dall’indagine non è emerso nulla, e comunque “bisogna distinguere tra peccati e delitti. L’abuso di minori è un delitto, non un peccato. Ma se una persona, laica, prete o suora, commette un peccato e poi si converte, il Signore perdona. E quando il Signore perdona, il Signore dimentica”. E’ teologia del peccato, e l’esempio più calzante è san Pietro: “Ha commesso uno dei peccati peggiori, rinnegare Cristo, e dopo questo lo hanno fatto Papa!”, dice Francesco.
Non si nasconde neppure su Vatileaks, il gesuita argentino eletto Pontefice lo scorso marzo. E’ un “problema grosso”, ammette, su cui si confronta con Benedetto XVI – lui “è un uomo di Dio, un uomo umile che prega, gli voglio tanto bene e lo venero come un nonno” – nel buen retiro dell’ex convento Mater Ecclesiae: “Quando sono andato a trovarlo a Castel Gandolfo mi diceva che in quella scatola grande ci sono tutte le dichiarazioni e le cose che hanno detto le persone ascoltate dalla commissione cardinalizia” incaricata dell’inchiesta, “ma lui aveva tutto in testa!”. C’è lo Ior che potrebbe chiudere o trasformarsi “in un fondo di aiuto” o rimanere una banca: “Io non so bene dire come finirà questa storia”. L’importante “è che le caratteristiche dello Ior” siano improntate “alla trasparenza e all’onestà”. Ammette che in curia “ci sono tanti santi che si preoccupano di dare da mangiare ai poveri”, ma che inevitabilmente “c’è anche chi tanto santo non è, e sono quelli che fanno più rumore”. Il Papa fa pure l’esempio, quando cita monsignor Nunzio Scarano, il prelato in servizio all’Amministrazione patrimonio della sede apostolica (Apsa) arrestato a fine giugno con l’accusa di corruzione: “Noi abbiamo questo monsignore in galera, credo che sia ancora in galera… e non è andato in galera perché assomigliava alla beata Imelda! (espressione argentina per dire che Scarano non è propriamente uno stinco di santo, ndr)”. Certo, il fatto è che “la curia è un po’ calata di livello rispetto al passato. Il vecchio curiale, fedele, che faceva il suo lavoro non c’è più”. Infine chiarisce una volta per tutte perché insista sul definirsi “vescovo di Roma”: “Il Papa è vescovo di Roma e da lì derivano gli altri titoli. Pensare che questo significhi essere primus inter pares, no”.


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