
Educazione siberiana
Nessuno in Europa conosce la vita del dissidente come Adam Michnik. Dopotutto non sono molti gli intellettuali che possono dire di avere vissuto in galera al tempo del comunismo, e di avere rovesciato un regime usando libri, pietre, scioperi e trattative segrete, sino al successo delle elezioni democratiche. Probabilmente è per questo che Mikhail Khodorkovsky s’è rivolto a lui dal carcere numero 7 di Segezha, al confine fra la Russia e la Finlandia: il loro scambio di lettere – meraviglioso – si trova sulle pagine del settimanale New Republic, ed è possibile che entri nel nuovo libro su Khodorkovsky che sarà pubblicato nei prossimi mesi a Mosca.
Nessuno in Europa conosce la vita del dissidente come Adam Michnik. Dopotutto non sono molti gli intellettuali che possono dire di avere vissuto in galera al tempo del comunismo, e di avere rovesciato un regime usando libri, pietre, scioperi e trattative segrete, sino al successo delle elezioni democratiche. Probabilmente è per questo che Mikhail Khodorkovsky s’è rivolto a lui dal carcere numero 7 di Segezha, al confine fra la Russia e la Finlandia: il loro scambio di lettere – meraviglioso – si trova sulle pagine del settimanale New Republic, ed è possibile che entri nel nuovo libro su Khodorkovsky che sarà pubblicato nei prossimi mesi a Mosca.
I due hanno storie diverse, Michnik è nato in Polonia negli anni Quaranta, faceva parte dell’opposizione quando era ancora al liceo ed è stato in prima linea nella lotta al comunismo sino al 1989, l’anno in cui il regime di Varsavia è stato costretto a concedere libere elezioni. Khodorkovsky ha vent’anni di meno, è nato in Russia, ha passato gran parte della propria esistenza a Mosca e s’è arricchito con l’industria delle materie prime, un affare che gli è costato infine la libertà: è in prigione dal 2003 per reati fiscali, anche se pochi pensano che quello sia il vero motivo delle sue pene. Alle spalle c’è uno scontro con il presidente russo, Vladimir Putin, a causa del sostegno che Khodorkovsky avrebbe offerto ai partiti di opposizione proprio negli anni in cui Putin completava la sua ascesa al potere. Insomma, l’ora d’aria e il pasto in cella sembrano l’unica cosa in comune fra questi due uomini.
Eppure Michnik ha preso di buon grado gli inviti di Khodorkovsky, ed è anche stato in Russia per assistere a un’udienza del suo processo. “Stimato Mikhail Borisovic – scrive Michnik – L’indomita attitudine che avete mostrato in cella, il rifiuto di emigrare all’estero e il sistema di valori che si percepisce nei vostri articoli mi ricordano la vita e le opere di Václav Havel, scrittore, cittadino, prigioniero politico e presidente prima della Cecoslovacchia, poi della Repubblica ceca. Vaclav era un mio amico, ci siamo incontrati nell’estate del 1978 e il nostro rapporto è durato sino al giorno della sua morte. Lo ammiravo per il coraggio e la determinazione, per la chiarezza del pensiero e il senso di dignità e libertà. Esattamente come ammiravo Andrei Sakharov”.
Ma nelle lettere di Michnik non ci sono soltanto paragoni e complimenti, i suoi messaggi sono un manuale di critiche e consigli per combattere un regime. Scrive Michnik all’aspirante dissidente: “Caro Misha, ho letto molte cose sulla vostra militanza giovanile nel Komsomol. E’ un tipo di esperienza che per molti anni non ho capito affatto. A sedici anni sono entrato nell’opposizione, a diciotto ho avuto i primi problemi con le autorità. Guardavo a ogni carriera che richiedesse contatti con il Partito comunista o con il suo apparato come a qualcosa di moralmente inaccettabile. Ma negli anni ho incontrato anche persone che facevano parte di quel mondo e che ne sono uscite, il che ha complicato la mia visione un po’ manichea del mondo”. E in un altro passaggio gli spiega: “Avete raccontato del vostro contributo ai deputati che sostenevano le ragioni di Yukos, e di avere finanziato campagne politiche e progetti filantropici. Questo modello mi pare problematico, perché sono convinto che il Parlamento debba seguire il bene comune, non certo gli interessi delle grandi compagnie private”. Ma poi viene il momento della consolazione. “Il tempo della vostra prigionia è un tempo di liberazione morale e intellettuale – racconta Michnik – Sono convinto che un giorno ripeterete una frase cara a Solgenitsin, ‘benedico la mia prigione’. Putin vi ha trasformato, da oligarca e miliardario siete diventato una voce della coscienza in un paese che può ancora essere nobile, libero e fedele alle ragioni della democrazia”.
Nonostante gli sforzi e i messaggi di amicizia che gli arrivano ogni giorno da ogni continente – e il sostegno ricevuto dai quotidiani liberal in Europa e negli Stati Uniti – Khodorkovsky non ha mai convinto i russi a seguirlo nella battaglia contro Putin e il putinismo. Forse questo dipende dalle sue origini, dal fatto che abbia accumulato una fortuna enorme ai tempi delle privatizzazioni e che sia riconosciuto come un oligarca, categoria nella quale rientrano personaggi di dubbia reputazione come Boris Berezovsky, l’affarista morto suicida in Inghilterra la scorsa primavera. Oppure dal fatto che il progetto al quale lavora pare sin troppo ambizioso: Khodorkovsky vuole cambiare lo spirito russo, spezzare il vincolo che conduce a un solo centro, ben difeso, tutto il potere. Un sistema che presenta numerose incognite, ma che ha garantito alla nazione di superare i momenti più difficili della sua storia, dalle invasioni mongole allo choc economico di fine anni Novanta, passando per la vittoria sui nazisti.
“Da quanti secoli la nostra gente ha a che fare con rivoluzioni e governi autoritari?”, domanda Khodorkovsky in una lettera a Michnik. “Ho incontrato persone che credono che la Russia non sia un paese adatto alla democrazia, che i russi debbano avere uno zar a vegliare su di loro, che il nostro popolo non sia capace di auto organizzarsi. Sono convinto che la Russia abbia il diritto a una vita dignitosa, ma il diritto in sé non è una condizione sufficiente: è arrivato il momento di saltare la trincea”.
Quindi, secondo molti analisti, non bisogna cercare nelle carceri della Carelia per trovare il prossimo sfidante di Vladimir Putin. Sarebbe meglio guardare nelle piazze di Mosca, dove si concentrano gli elettori di Alexei Navalny, un avvocato sui quaranta che s’è fatto largo nel panorama impolverato dell’opposizione russa grazie a un paio di iniziative popolari, come quella di pubblicare sul suo blog inchieste interessanti su politica e mazzette (è stato lui a dire per primo che Russia Unita, il movimento che sostiene Putin alla Duma, è un partito di “ladri e corrotti”, uno slogan che ha riscosso enorme successo in ogni angolo del paese). E nella disperata ricerca di un civile russo al quale attribuire il titolo di dissidente, la grande stampa anglosassone ha ricevuto l’aiuto del tribunale di Kirov, una città di campagna che si trova a novecento chilometri di Mosca.
E’ lì che il giudice Sergei Blinov ha condannato Alexei Navalny a cinque anni di carcere per avere sottratto illegalmente alla società KirovLes un enorme carico di legname (valore: mezzo miliardo di dollari americani). Subito dopo la lettura sono arrivate le manette, e con quelle le proteste sulla strada Tverskaya, la strada più centrale di Mosca.
Un paio di circostanze hanno reso l’arresto ancora più clamoroso. Navalny s’era candidato da qualche settimana alle elezioni per diventare governatore di Mosca, un voto significativo in cui era il volto più credibile dell’opposizione – nonostante il misero 8 per cento che i sondaggi gli attribuivano. Persino il governatore uscente, un uomo vicino a Putin di nome Sergei Sobyanin, è intervenuto per chiedere che Navalny fosse rilasciato. In più la sentenza è arrivata negli stessi giorni in cui il governo russo annunciava in modo più o meno esplicito il sostegno a un’altra specie di dissidente, Edward Snowden, che si è rifugiato in un aeroporto di Mosca con cartelle di segreti dei servizi americani ed è in attesa di ricevere asilo politico. Snowden potrebbe lasciare lo scalo-prigione di Sheremetyevo entro la fine della settimana, ma si teme una sorte uguale e contraria per il blogger russo.
Per adesso Navalny resta a piede libero grazie all’intervento, anche questo inaspettato, della procura generale, che ha dichiarato “illegittimo” il suo arresto. Lui sostiene di essere pronto ad affrontare il momento, per quanto un uomo si possa abituare all’idea di vivere per cinque anni in un carcere russo. I suoi sostenitori sono nelle grandi città, da Mosca a San Pietroburgo, ormai organizzano proteste e manifestazioni da più di un anno, hanno superato la vittoria di Putin (scontata) alle elezioni presidenziali del 2012 e anche i metodi non troppo educati che la polizia è costretta a usare per ammorbidire la voglia di cambiamento.
Il programma di Navalny è più familiare rispetto a quello di Khodorkovsky – e per questo molto più pericoloso sul piano politico per Putin e per i suoi. Il primo obiettivo sulla sua agenda è la lotta ai privilegi, alle tangenti, alla corruzione degli apparati pubblici che ha ostacolato lo sviluppo del paese negli ultimi anni e sta trascinando l’economia verso la recessione. Il New York Times ha cominciato a raccogliere le sue frasi migliori, come se stesse già scrivendo la storia di un eroe destinato a una fine prevedibile. “Un anno fa, quando ho partecipato per la prima volta a un corteo, non c’era neppure un caso aperto contro di me – ha detto a maggio, durante un’assemblea pubblica – Il 15 settembre avevo un’inchiesta sulle spalle. Il 15 dicembre le inchieste sono diventate quattro. Ora ci sono sei fascicoli aperti con il mio nome, eppure non mi interessa niente! Potrebbero aprire 124 inchieste sul mio conto, ma continuerò a dire esattamente ciò che penso, e credo che non vogliate sentire nulla da me che non sia la verità”. Secondo Navalny la rivoluzione è un fatto inevitabile in Russia dato che la maggioranza delle persone “capisce che il sistema è sbagliato: basta parlare con un semplice burocrate per capire chi ruba e per sapere come mai non funziona mai niente”.
Ivan Susanin è uno degli eroi più conosciuti nella storia russa. Susanin è vissuto nel Seicento in un villaggio vicino alla città di Kostroma, secondo la tradizione lavorava come tagliaboschi, eppure la sua fama è superiore a quella di molti zar. I fatti di cui è protagonista si sono svolti attorno al 1612, quando le truppe polacche e lituane davano la caccia al rifugio in cui si nascondeva il principe Mikhail Romanov, che era stato scelto per diventare il nuovo sovrano della Russia: gli invasori sostenevano le ambizioni del loro sovrano, Sigismondo III Vasa, che aveva invaso la Russia pochi anni prima. I soldati polacchi sospettavano che Mikhail si nascondesse nel monastero Ipatiev, poco distante da Kostroma, e una volta nella regione si erano messi a cercare una guida capace di condurli al rifugio. Susanin si era offerto di scortarli al monastero, ed è proprio qui che comincia la sua leggenda: anziché portare i polacchi verso il nascondiglio di Mikhail Romanov, il tagliaboschi aveva li aveva convinti a seguirlo al centro della foresta, lungo un sentiero che correva molto distante dal monastero di Ipatiev. Stremati dalla fatica e dal freddo di febbraio, i soldati sarebbero morti dopo alcuni giorni di marcia insieme con la guida, senza raggiungere il loro obiettivo. E qualche mese più tardi, il principe Mikhail avrebbe dato origine alla dinastia regnante dei Romanov.
Nella cittadina di Kostroma c’è ancora una statua che ricorda questo eroe, al suo sacrificio è dedicata anche un’opera del compositore Glinka, e in Russia il nome di “Susanin” è usato anche in modo ironico con chi assicura di conoscere il modo per arrivare in un certo luogo, e poi si perde miseramente. Non ci sono dubbi sul fatto che Susanin fosse un eroe, ma non tutti gli affiderebbero la guida di una marcia fra i boschi.
Probabilmente il complesso di Susanin è il vero problema di Navalny e di Khodorkovsky (anche se per il momento il primo pensiero di Khodorkovsky è uscire di prigione): hanno una popolarità enorme in Russia, i loro libri sono nelle vetrine di ogni grande libreria e migliaia di giovani hanno già mostrato di essere pronti a mettersi nei guai pur di difendere i loro leader, ma poi viene il giorno delle elezioni ed è allora che si contano quelli che sono davvero disposti a seguire una nuova strada nella storia della Russia.


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