Francesco a Copacabana chiama i giovani alla rivoluzione

Matteo Matzuzzi

Un milione di giovani ha accolto il Papa, tra il freddo e la pioggia, sul lungomare di Copacabana. E’ lì che ieri sera si è tenuta la festa di accoglienza, il primo momento di contatto ufficiale tra Francesco e il popolo giunto a Rio de Janeiro per quella che domenica scorsa all’Angelus Bergoglio ha definito “la settimana della gioventù”. Parole chiare, scandite in spagnolo e con frequenti aggiunte a braccio (il Bergoglio che parla nella sua lingua risulta ben più efficace e meno ingessato di quando parla in portoghese) sulla fede: “Bota fé, metti fede” è il cardine attorno al quale è ruotato l’intervento di Francesco: “Che cosa significano queste parole?”, ha chiesto prima di dare lui stesso la risposta.

    Un milione di giovani ha accolto il Papa, tra il freddo e la pioggia, sul lungomare di Copacabana. E’ lì che ieri sera si è tenuta la festa di accoglienza, il primo momento di contatto ufficiale tra Francesco e il popolo giunto a Rio de Janeiro per quella che domenica scorsa all’Angelus Bergoglio ha definito “la settimana della gioventù”. Dopo aver ricordato l’intervento di Giovanni Paolo II a Buenos Aires nel 1987, dove si celebrò la prima Giornata mondiale a livello internazionale, il Pontefice ha voluto salutare e ringraziare il predecessore, Benedetto XVI: “A lui che ci ha convocati oggi, qui, inviamo un saluto e un forte applauso. Voi sapete che prima di venire in Brasile ho conversato con lui, e gli ho chiesto di accompagnarmi nel viaggio, con la preghiera. E lui mi ha detto ‘vi accompagno con la preghiera e sarò vicino alla televisione’. Così, in questo momento, ci sta guardando”. Subito è partito il coro “Benedicto! Benedicto!”, al quale si è unito anche un divertito e sorridente Bergoglio. Ma è al termine della festa, della sfilata delle bandiere, dei canti e dei balli, che il Papa ha tenuto l’omelia che la tv locale definiva non a caso “pronunciamiento”.

    Parole chiare, scandite in spagnolo e con frequenti aggiunte a braccio (il Bergoglio che parla nella sua lingua risulta ben più efficace e meno ingessato di quando parla in portoghese) sulla fede: “Bota fé, metti fede” è il cardine attorno al quale è ruotato l’intervento di Francesco: “Che cosa significano queste parole?”, ha chiesto prima di dare lui stesso la risposta: “Quando si prepara un buon piatto e vedi che manca il sale, allora tu metti il sale; manca l’olio, allora tu metti l’olio. Mettere, cioè collocare, versare. Così è anche nella nostra vita: se vogliamo che essa abbia veramente senso e pienezza, come voi stessi desiderate e meritate, dico a ciascuno e a ciascuna di voi ‘metti fede’ e la vita avrà una bussola che indica la direzione”.

    Una catechesi durante la quale il Pontefice è tornato a parlare dei falsi idoli che si mostrano affascinanti soprattutto per i più giovani: “Tutti abbiamo spesso la tentazione di metterci al centro, di credere che siamo l’asse dell’universo, di credere che siamo solo noi a costruire la nostra vita o di pensare che essa sia resa felice dal possedere, dai soldi, dal potere. Ma tutti sappiamo che non è così. Certo l’avere, il denaro, il potere possono dare un momento di ebbrezza, l’illusione di essere felici, ma alla fine sono essi che ci possiedono e ci spingono ad avere sempre di più”. Invece, il faro guida deve essere sempre la “l’onda rivoluzionaria della fede che riempie e dà senso alla vita”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.