Ritorno ad Aparecida

Sei anni fa Bergoglio stilò in Brasile il suo programma da Papa

Matteo Matzuzzi

Chi conosce bene Jorge Mario Bergoglio da anni, prima ancora che fosse chiamato a succedere a Ratzinger sul Soglio di Pietro, diceva che per capire il senso del suo papato bisognava tornare con la memoria ad Aparecida, al maggio del 2007. E’ lì, tra le navate dell’immenso santuario mariano, che sei anni fa l’allora arcivescovo di Buenos Aires presentò inconsapevolmente quello che sarebbe poi diventato il suo programma di pontificato. Francesco ha chiesto espressamente, quasi preteso, che tra i vari appuntamenti politici e spirituali in terra brasiliana fosse trovato uno spazio per una visita di mezza giornata ad Aparecida. E ieri, sfidando uno degli inverni più freddi degli ultimi quarant’anni, Bergoglio ha compiuto il classico giro in jeep parzialmente scoperta e poi è entrato nella basilica.

    Chi conosce bene Jorge Mario Bergoglio da anni, prima ancora che fosse chiamato a succedere a Ratzinger sul Soglio di Pietro, diceva che per capire il senso del suo papato bisognava tornare con la memoria ad Aparecida, al maggio del 2007. E’ lì, tra le navate dell’immenso santuario mariano, che sei anni fa l’allora arcivescovo di Buenos Aires presentò inconsapevolmente quello che sarebbe poi diventato il suo programma di pontificato. Francesco ha chiesto espressamente, quasi preteso, che tra i vari appuntamenti politici e spirituali in terra brasiliana fosse trovato uno spazio per una visita di mezza giornata ad Aparecida. E ieri, sfidando uno degli inverni più freddi degli ultimi quarant’anni – nonostante la pioggia battente il Papa sembrava comunque a suo agio –, Bergoglio ha compiuto il classico giro in jeep parzialmente scoperta e poi è entrato nella basilica. Prima della messa si è soffermato per qualche minuto in preghiera davanti all’Immagine della Vergine. In piedi, in silenzio, con lo sguardo fisso sull’icona. Francesco era completamente assorto, quasi estraniato dal contesto, tant’è che il coro d’accompagnamento ha di colpo taciuto davanti alla commozione del Pontefice. Più tardi, dall’ambone, è stato il tempo dell’omelia. Breve, come è nello stile abituale del pastore argentino, e centrata su tre concetti fondamentali: mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere da Dio, vivere nella gioia. E’ tornato a parlare dei “tanti idoli che si mettono al posto di Dio e sembrano dare speranza ai nostri giovani”, ha ripetuto che il cristiano “è gioioso e mai triste, non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo”.

    A sorpresa, invece, sono stati pochi i riferimenti diretti a quel documento finale della conferenza dell’episcopato latinoamericano che nel 2007 consolidò la figura di Bergoglio tra l’episcopato sudamericano. Il gesuita preso quasi alla fine del mondo era infatti stato nominato responsabile del comitato incaricato di redigere il documento finale della conferenza, con il placet di Benedetto XVI, che in quei giorni visitava proprio Aparecida: Ratzinger “ci ha dato indicazioni generali sui problemi dell’America latina, e ha poi lasciato aperto: fate voi! E’ stato grandissimo questo gesto da parte del Papa!”, commentava all’epoca un entusiasta Bergoglio in un’intervista al mensile 30Giorni. Rileggendo quelle pagine si ritrovano, uno a uno, tutte le basi su cui Francesco ha imbastito la propria missione pastorale una volta eletto vescovo di Roma. A partire dai richiami alla pietà popolare: “Dopo quelle contenute nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, quelle pagine sono le cose più belle scritte sulla pietà popolare in un documento della chiesa”, diceva il primate argentino, che aggiungeva come il documento di Aparecida potesse essere definito “l’Evangelii Nuntiandi dell’America latina”.

    E proprio sul significato di missione quel testo insisteva e tornava a più riprese, come nel passaggio in cui si sosteneva che “per rimanere fedeli bisogna uscire” e che alla chiesa serve “coraggio apostolico”. Avendo sotto gli occhi la situazione critica dell’America latina, con le sette pentecostali che diventano ogni giorno che passa sempre più attraenti e con gli evangelici in rapida espansione, la conferenza del Celam si chiuse con l’obiettivo di “trasformare la chiesa in una comunità più missionaria” e “a questo scopo si promuovono la conversione pastorale e il rinnovamento missionario delle chiese particolari, delle comunità ecclesiali e degli organismi pastorali”. E poi, fare il possibile perché “la chiesa si liberi di tutte le strutture caduche che non favoriscono la trasmissione della fede”. Tutte frasi e concetti che hanno contraddistinto le omelie a Santa Marta e in San Pietro, i discorsi ufficiali e le catechesi del mercoledì mattina di questo primo scorcio di Pontificato bergogliano. E la ricetta per vincere la sfida con le sette, Francesco ce l’aveva già sei anni fa: si vada in periferia “con tono evangelico e pastorale, linguaggio diretto e propositivo. Ci vuole entusiasmo missionario”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.