Il fumo di Taranto

Redazione

Il giornalista collettivo si è rimesso alacremente all’opera sull’Ilva di Taranto, brandendo la sua fidata arma e compagna: il pensiero unico. E dunque Enrico Bondi, commissario del governo preposto sia al risanamento ambientale sia alla prosecuzione dell’attività nella più grande acciaieria d’Europa, e unica rimasta in Italia nella lavorazione a caldo (cioè un altoforno), convocato a Roma dal ministro pd dell’Ambiente Andrea Orlando ha dovuto “rendere conto” di quanto affermato in una relazione scientifica di parte. Quindi dell’azienda.

    Il giornalista collettivo si è rimesso alacremente all’opera sull’Ilva di Taranto, brandendo la sua fidata arma e compagna: il pensiero unico. E dunque Enrico Bondi, commissario del governo preposto sia al risanamento ambientale sia alla prosecuzione dell’attività nella più grande acciaieria d’Europa, e unica rimasta in Italia nella lavorazione a caldo (cioè un altoforno), convocato a Roma dal ministro pd dell’Ambiente Andrea Orlando ha dovuto “rendere conto” di quanto affermato in una relazione scientifica di parte. Quindi dell’azienda. Ma forse perciò indegna di considerazione scientifica, per il solo fatto di giungere a conclusioni diverse rispetto alle due uniche verità ufficiali fin qui accettate dalla pm Patrizia Todisco: quelle dell’Arpa, l’Agenzia regionale ambientale, e quella Sentieri, suggestivo acronimo di “Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio d’inquinamento”. Tra arpe e sentieri i quattro consulenti dell’Ilva, di parte ripetiamo, ma com’è ovvio e pacifico in ogni processo di normale civiltà giuridica, si sono trovati esposti al pubblico scandalo per avere scritto nella loro relazione, di almeno un mese fa, che l’inquinamento dell’acciaieria non era “la causa” ma una concausa tra altre – tutte dimostrate – presenti a Taranto nel periodo di incubazione dei tumori. Tra queste: l’esposizione all’amianto, la difficoltà nell’accesso a cure mediche e prevenzione e, ecco qui lo scandalo, il fumo di sigaretta e consumo di alcol superiore alla media del sud Italia. Pubblicata in primis dalla Gazzetta del sud e dal Fatto quotidiano, con lo stesso trattamento riservato a un’intercettazione telefonica, la relazione è diventata oggetto di pubblico ludibrio. E Bondi immediatamente descritto come cinico esecutore di ordini aziendali. La sua dichiarazione di ieri – che, a leggerla come si deve, non smentisce nulla – prontamente etichettata come “un dietrofront”. Manca solo il reato di vilipendio al pensiero unico perché il giornalista collettivo possa dirsi pienamente soddisfatto.

    Eppure, partendo dalla coda, che cosa ha detto Bondi? “Le emissioni inquinanti dello stabilimento Ilva di Taranto hanno, a quanto risulta da indagini svolte in sede scientifica e dagli accertamenti disposti della magistratura, avuto rilevanti impatti anche sanitari. Del resto sono stato chiamato, con un decreto legge che non ha precedenti in Italia, ad assicurare l’attuazione delle prescrizioni dell’Autorizzazione ambientale integrata e di altre misure di risanamento ambientale perché la preoccupazione per tale stabilimento rimane alta. Non ho mai detto, né scritto che ‘il tabacco fa più male delle emissioni dell’Ilva’ come risulta precisato solo da alcuni giornali. In un procedimento avviato ben prima del commissariamento è stato richiesto dalla regione Puglia un parere all’Ilva su un’ipotesi di valutazione del danno sanitario. L’Ilva ha affidato l’elaborazione di tale parere a quattro docenti universitari. Ho ritenuto doveroso inoltrare tale parere, nel testo che mi era stato trasmesso, come contributo al procedimento avviato dalla regione Puglia: tale parere tecnico non ha ovviamente alcuna incidenza né sulle iniziative ambientali in corso, né sul Piano di risanamento ambientale dell’Ilva che è in elaborazione e che terrà conto sia dei rischi ambientali che di quelli sanitari”. Ma dov’è la marcia indietro? E sempre tornando a qualche giorno fa, che cosa si legge nella relazione che la regione ha chiesto mesi addietro all’Ilva, che l’Ilva ha affidato a quattro studiosi (di loro parleremo tra poco), e che Bondi, quando ancora era amministratore delegato dell’azienda e prima di essere nominato, nel giugno scorso, commissario del governo ha trasmesso come richiesto alla regione: finché il Fatto non ne è, testuale, “entrato in possesso”? In breve, vi si legge che i tumori dello studio Sentieri riferiti al 2003-2009 hanno avuto un’incubazione media di 30-40 anni, e di conseguenza non giustificano la chiusura d’urgenza dell’impianto e il sequestro della produzione. Che all’epoca a Taranto c’era un consumo di alcol e tabacco, nonché soprattutto un’esposizione all’amianto, superiori alla media. Che infine l’unico tumore chiaramente in eccesso è il mesoteloma pleurico, la cui stretta dipendenza dall’amianto è scientificamente e universalmente provata.

    Ma appunto, chi sono gli esperti sotto la cui relazione Enrico Bondi ha osato porre la propria firma di amministratore-commissario? Paolo Boffetta, torinese, da anni attivo negli studi sul cancro e sulle correlazioni ambientali ed epidemiologiche negli Usa, dove insegna alla Mount Sinai School of Medicine di New York, è stato professore alla Harvard School of Public Health di Boston, mentre in Francia è vicepresidente dell’Istituto per la ricerca e prevenzione di Lione. Carlo La Vecchia, capo del dipartimento di epidemiologia dell’Istituto Mario Negri di Milano, docente di Medicina sociale e preventiva a Losanna, dopo avere insegnato a Harvard e alla Vanderbilt University. Marcello Lotti, capo dipartimento medicina ambientale di Padova, fellow della Royal Society of Medicine, nel 2005-2008 capoprogetto di una ricerca ministeriale sugli effetti sulla salute del particolato urbano. Il quarto docente è Angelo Moretti. Ripetiamo: periti di parte, sì; incaricati dall’Ilva su richiesta della Regione. Si possono per questo definire degli sprovveduti, o magari dei venduti, disposti ad avallare una tesi bislacca? E perché Bondi che, com’è suo dovere, trasmette alla regione quanto richiesto, è passibile di pubblica censura, convocabile seduta stante dal governo? Il quale conosceva da un mese la relazione, visto che era nota alla regione e lo stesso Bondi ne ha parlato il 19 giugno alle commissioni Ambiente e attività produttive della Camera e subito dopo del Senato? E la senatrice Laura Puppato, del Pd, che ha chiesto la “convocazione immediata di Bondi in commissione”, perché non si rilegge i verbali dell’audizione dello stesso Bondi a Montecitorio, o chiede al suo collega Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente, che allora si dichiarò “molto soddisfatto”? O a Massimo Mucchetti, sempre del Pd, che presiede la commissione Industria del Senato, che ha ascoltato con molto equilibrio il garante dell’Autorizzazione integrata ambientale Vitaliano Esposito e il procuratore capo Franco Sebastio (il primo gratificato dal giornalista collettivo con appellativi tipo “cariatide di stato”)?

    Accusare proprio uno come Bondi di aver fatto da tappetino alla famiglia Riva fa a botte con la storia. Perché di questo manager le grandi dinastie private hanno sempre detto il contrario: di essere uno che non guarda in faccia a nessuno. Risanatore della Montedison post-Gardini e della Parmalat post-Tanzi, solo per citare gli esempi più noti, ha portato a galla ciò che doveva (inguaiando ulteriormente i Tanzi) per recuperare i soldi dalle banche. D’altra parte chi sono i periti e i manager cui si è affidata la procura tarantina? Tre epidemiologi (Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere), il commissario ai rifiuti della regione Sicilia ed ex dirigente ministeriale Marco Lupo, il docente di Ingegneria al Politecnico di Torino Giuseppe Genon, e Lucia Bisceglia, medico-dirigente dell’Arpa Taranto. Tutti bravi, ovviamente. Vogliamo riconoscergli la stessa dignità dei periti di parte? Il Foglio si è occupato spesso della vicenda Ilva, ascoltando opinioni contrastanti: il 5 giugno ha messo a confronto l’editorialista del manifesto Guido Viale e Umberto Minopoli, esperto di industria dell’assemblea nazionale del Pd. Ha riletto senza pregiudizi il dossier Sentieri, paragonando il tasso di tumori a Taranto con quello di Veneto e Lombardia (più elevato). Esercitando un libero diritto di osservazione e critica, pronti a ricrederci di fronte a nuove evidenze. Però qualche sospetto che sotto sotto scavasse la solita talpa del conformismo nazionale e della verità rivelata ce l’avevamo. Il giornalista collettivo (che non scrive solo sul Fatto ma su tutti i giornaloni nazionali) e la retromarcia governativa imposta a Bondi, ma che Bondi non ha fatto, ci danno ragione.