
L'urgente inattualità di Ripellino, flâneur siciliano nel sanatorio di Praga
Ancora oggi, verso le cinque del mattino, seduto sul letto del sanatorio di Dobris, vicino Praga, Angelo Maria Ripellino sistema la bombetta di Kafka vicino al boccale di birra di Hasek, come fossero manichini che hanno attraversato la città per andarlo a trovare e raccontargli cosa sta succedendo fuori. Ancora oggi, dopo le cinque del mattino, funamboli, alchimisti, golem, wariaci (pazzi), marionette, guitti, poeti, ubriaconi, cudàk (bislacchi) passano sotto la sua finestra e lui, caruso che veniva da Palermo, scende dal letto, esce dal sanatorio e se ne va tampasiari, a zonzo, come si dice nella sua città, con questa masnada di lanzichenecchi, di attori senza palco, di cantanti senza spartito.
di Davide Morganti
Ancora oggi, verso le cinque del mattino, seduto sul letto del sanatorio di Dobris, vicino Praga, Angelo Maria Ripellino sistema la bombetta di Kafka vicino al boccale di birra di Hasek, come fossero manichini che hanno attraversato la città per andarlo a trovare e raccontargli cosa sta succedendo fuori. Ancora oggi, dopo le cinque del mattino, funamboli, alchimisti, golem, wariaci (pazzi), marionette, guitti, poeti, ubriaconi, cudàk (bislacchi) passano sotto la sua finestra e lui, caruso che veniva da Palermo, scende dal letto, esce dal sanatorio e se ne va tampasiari, a zonzo, come si dice nella sua città, con questa masnada di lanzichenecchi, di attori senza palco, di cantanti senza spartito. Lui, il poeta e traduttore siciliano, nato nella terra dei pupi nel 1923 e morto a Roma nel 1978, è quello che ha fatto conoscere in Italia, tra gli anni Sessanta e Settanta, tanta letteratura ceca, polacca, russa, quello che scriveva come stesse costruendo la cattedrale di Noto, un barocco siciliano fatto di chiaroscuri, di vezzi, lazzi, irrisioni, parole rare, di accenti adornati – germinare, brumoso, inopia, infistolire, metoposcopia sono tra gli ornamenti preziosi della sua scrittura.
Il suo stile, decorato proprio come una chiesa siciliana del XVIII secolo, si è spinto verso l’est europeo, quello calpestato da Dubcek, Stalin, Bierut e lui, Angelo Maria Ripellino, malato di tubercolosi come Kafka, figlio del professore di Lettere Carmelo, poliglotta già a diciannove anni, dopo aver seguito e studiato lo spagnolo, segue i corsi di letteratura slava di Ettore Lo Gatto di cui prenderà poi il posto, parte per l’Unione sovietica, torna e sbeffeggia il comunismo e la retorica dei suoi aedi; si mette dalla parte dei paria, del samidzat, va a addimurari ogni Nikde (Non dove) di cui parla Halas, nato povero e morto tra la derisione dei burocrati di regime. Di questi wariaci, oltre a Halas, ci sono Bruno Schulz, ucciso per ripicca da un nazista nel 1942, Hasek, Jirì Weil, Witkiewicz, Gombrowicz, Achmatova, Chlebnikov. Ma wariaci lo è anche lui, per quella sua faccia siciliana, per quella sua passione slava tanto da fargli sposare Ela Hlochova studentessa ceca, per la sua irrisione del sistema sovietico che lo porta ad attaccare anche uno scrittore notevole come Iwaszkiewicz (“Le signorine di Wilko” è un capolavoro cechoviano), accusandolo di servilismo. Angelo Maria Ripellino, nell’Italia di Togliatti e suoi effetti collaterali, appare come un dziwak, un eccentrico, un compagno d’arme del buon soldato Sc’vèik che, se fosse ancora vivo, mangerebbe cetrioli e berrebbe vodka ascoltando il gruppo alcool-punk dei Grupa Leningrad. A questo straordinario traduttore, che cammina sulle parole come un trapezista sul filo, si deve la conoscenza di grandi scrittori come Ladislav Fuks, Tjutcev, Holan; quando si voleva ammucciari, Ripellino si metteva in testa la bombetta di Kafka per riaffiorare nelle traduzioni.
Angelo Maria è autore di quel libro sicilianissimo che va sotto il nome di “Praga magica”, quando lo si legge si entra davvero in un rumoroso duomo barocco: “Quanti grugni porcini, impacciandosi nelle occorrenze di Praga, vi si sono accampati nel corso dei tempi: squassapennacchi dalle armature dorate e dal gonfio petto tintinnante di ciondoli, fratacchioni di tutte le confraternite e prelati del porta inferi, Obergauner che piombavano in sidecar, seminando rovina, e machiavellisti e fratelli traditorissimi, e ceffi mongolici come in racconti di Meyrink, e qualche assessore di collegio caucasico, preposto a imbavagliare il pensiero, e ciurme di regolisti e di sgherri che, puntando il mitra, sbaiaffano fagiolate ideologiche, e interi conclavi di generali capocchi, tra i quali sia ricordato; per le innumere placche e medaglie che lo avviluppano, lo zelante Episciòv, coglione in crèmisi. Alla soglia della seconda guerra mondiale Josef Capek, che sarebbe perito in un Lager nazistico, narrò in un ciclo di caricature la storia di due protervi stivali, due neri viscidi guitti che, moltiplicandosi come le salamandre, spargono per l’uníverso menzogna, sfacelo e morte”. In questo mondo di salamandre cattive irrompono gli omini chapliniani di Hrabal, le sue stazioni, lo scherzo di Kundera (il cui romanzo omonimo risale sicuramente al Lazik di Ehrenburg) che fanno della necessaria stupidità nel regno del Moloch sovietico.
Frequentando solo samon glavnom – ciò che più importa – Ripellino pubblica nel 1960 il suo primo libro di poesie “Non un giorno ma adesso”, ma la malattia avanza, i ricoveri sono frequenti. L’esperienza dolorosa di questo periodo si trasforma nei versi de “La Fortezza d’Alvernia” pubblicato nel 1967 e che ottenne il premio Cittadella. In tutto saranno cinque le raccolte poetiche, sempre con quella sua lingua densa, affollata come la bocca di Groucho Marx: “Ti immagino dentro un teatrino muffito, / in un’accigliata cantina. / Non vorrei rivederti avvizzito, / avvolto di naftalina. / Torna giovane. Mi vestirò di pervinca, / balleremo un’intera estate / uno struggente valzer di Glinka, / come in vaporose stagioni passate”. Con la sua poesia e le sue traduzioni, Ripellino aveva aiutato uomini e parole a scavalcare il Muro di Berlino, quello che poi, undici anni dopo la sua morte, sarebbe crollato addosso al fuoddi, folle, e al zbabely, vigliacco.
di Davide Morganti


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