L'extraterritorialità del Tg3 non vacilla nemmeno sotto le multe

Redazione

Qui lanciamo l'idea di un premio. Chi trova in leggi, regolamenti, circolari un codicillo che assicuri una specie di regime concordatario al Tg3 avrà il canone pagato. Finora niente, ricerca vana. Non risulta che il Tg3 goda per iscritto di una specie di extraterritorialità post sovietica per cui deve agire secondo le tradizioni della Pravda o, più vicino a noi, di Tele Kabul. E' servizio pubblico, pare, tenuto alla stessa osservanza delle norme tale e quale il Tg1. Invece l'idea dominante è che sia un diritto immarcescibile di RaiTre e del suo telegiornale sventolare la bandiera rossa invece di quella italiana.

di Renato Brunetta

    Qui lanciamo l’idea di un premio. Chi trova in leggi, regolamenti, circolari un codicillo che assicuri una specie di regime concordatario al Tg3 avrà il canone pagato. Finora niente, ricerca vana. Non risulta che il Tg3 goda per iscritto di una specie di extraterritorialità post sovietica per cui deve agire secondo le tradizioni della Pravda o, più vicino a noi, di Tele Kabul. E’ servizio pubblico, pare, tenuto alla stessa osservanza delle norme tale e quale il Tg1. Invece l’idea dominante è che sia un diritto immarcescibile di RaiTre e del suo telegiornale sventolare la bandiera rossa invece di quella italiana. Questo spiega, ma non giustifica certo, i proiettili di carta tirati a suo tempo contro Augusto Minzolini dalla generalità della stampa concorde con i politici di sinistra, con un accanimento giunto a tal punto da farne salutare festosamente l’allontanamento dal Tg1 dal critico tv e moralista principe del Corriere, Aldo Grasso (al quale, avviso, dedicherò un umile post scriptum).

    Bianca Berlinguer supera candida e pura ogni esame dei medesimi soloni della critica. Di questa specie di corazzata Potemkin attraccata a Saxa Rubra invece che a Odessa, Berlinguer è comandante e anche nostromo, dirigendo e conducendo il Tg3 fuori e dentro il video: ebbene la direttora ha consegnato alla Rai una multa da parte dell’Autorità garante delle comunicazioni di 40 mila euro. Poca roba ma passata sotto universale silenzio. Chi provi come noi ad analizzare se per caso, dopo questa punizione, il Tg3 abbia rimediato alla faziosità sanzionata, verificherà che è accaduto tutto il contrario. Quasi che la multa sia stata considerata una specie di pedaggio preventivo pagato per avere il diritto preventivo a perseverare, anzi ad aggravare, lo strazio delle regole. Tanto chi oserà provare a stingere la bandiera rossa?

    Ci rendiamo conto. Le leggi sono antipatiche, sono invadenti, così come i contratti sottoscritti tra le parti. Quelli che intercorrono tra stato e Rai comportano l’onere e l’onore del servizio pubblico. Non pretendono per i programmi di informazione e specie per i telegiornali il confezionamento di una linea editoriale asettica: non esiste al mondo. Ma impongono di tutelare il pluralismo. Di dar voce alla molteplicità di punti di vista politici e culturali che compongono lo straordinario bouquet della società italiana. Questo pluralismo secondo la legge e le vincolanti delibere dell’Agcom è misurabile, al di là di gusti e valutazioni sulle tecniche informative che appartengono all’opinabile, a partire dei tempi di espressione dei singoli partiti così da evitare squilibri o censure. Salvo il caso del periodo elettorale, quando esistono precetti millimetrici, il resto è lasciato a un bilanciamento di buon senso.

    Vediamo che cosa ha combinato in questi mesi il Tg3 rispetto ai criteri sopra esposti. A gennaio tutto va secondo i canoni di legge, tanto più che si è in periodo elettorale. Poi però, sotto elezioni (saranno il 24 febbraio), Bianca non resiste al suo Dna. E’ evidente che l’attesa è quella di poter godere nel futuro di una alleanza che, data l’incertezza dell’esito al Senato, assicuri lunga vita a una coalizione di sinistra alleata al centro di Monti e Casini. Detto fatto. Così dal 1° al 21 febbraio il centrosinistra ha totalizzato un tempo di parola pari al 34,4 per cento; il centrodestra il 27,2 per cento; Scelta civica, Fli e Udc il 22,8 per cento; il Movimento 5 stelle il 4,2 per cento. La auspicata coalizione Bersani-Monti si accaparra così un meraviglioso 57,2 per cento a fronte di un risultato effettivamente conseguito del 39 per cento… Si noti che la multa dell’Agcom riguarda il periodo dall’11 al 17 febbraio. In quei giorni il Pdl ha fruito del 15,66 per cento del tempo di parola nelle edizioni principali, circa la metà del Pd. Da qui la multa di 40 mila euro e l’ordine di riequilibrare…

    Risultati? Nel mese di marzo il Partito democratico, da solo, ha avuto un tempo di parola pari al 35,1 per cento, rispetto al Popolo della libertà che ha avuto il 22,6 per cento; il Movimento 5 stelle il 30,3 per cento. Qui il Tg3, invece che servizio pubblico si dimostra un servizio bersaniano. Chiara anche dai numeri l’intenzione di promuovere l’alleanza sinistra-grillini. Non a caso l’ormai inutile centro montiano precipita al 3,5 per cento di presenza.
    Aprile accentua ancora la dispar condicio. Il centrosinistra viene omaggiato da Bianca Berlinguer del 57,7 per cento del totale; il centrodestra è liquidato con un complessivo tempo di parola del 23 per cento. Se però ci astraiamo dalle coalizioni, ecco che balza solo al comando con un distacco da Fausto Coppi sullo Stelvio l’eroico Bersani: ecco che il Pd realizza un tempo di parola pari al 49,7 per cento rispetto al Pdl che arranca al 15,6 per cento. Va meglio al M5s con il 16,6 per cento; peggio per il centro fermo all’1,6 per cento. Identico trend brezneviano a maggio. Il centrosinistra si ingolla il 54,1 per cento del tempo di parola, mentre il centrodestra viene defraudato e gli è assegnato appena il 22 per cento. La coalizione di centro si conferma all’indecente 1,6 per cento mentre il M5s è al 17 per cento. La multa di 40 mila euro è stata assai poco pedagogica a quanto pare. Se valesse il criterio della patente a punti, adesso, dopo la prima sanzione, andrebbe ritirata.

    Perché mi cimento con questo lavoro impopolare? Perché oltre che un dovere mi piace lavorare. Presentare un’interrogazione ai vertici della Rai e un esposto all’Agcom sul mancato rispetto del contratto per cui i cittadini pagano il canone, credo appartenga al compito di chi sia membro come me della commissione parlamentare di Vigilanza sul servizio pubblico.
    P.S. Aldo Grasso, piuttosto nervoso con me, sul Corriere della Sera per due volte mi invita a non partecipare più a programmi della Rai visto che un controllato non può controllare. Mi adeguo, non muore nessuno se non mi chiamano più a “Ballarò” (ci manco da anni). Credo però che il controllato non sia chi parla o viene invitato dalla Rai ma chi gestisce e conduce programmi di informazione e tg. E, visto che la comunicazione politica si attua quasi tutta per via televisiva, sarebbe come imporre la fine del diritto a fare politica per chi faccia parte della commissione di Vigilanza, salvo il caso, a quanto pare, che eviti di vigilare. C’è un’altra umile osservazione che propongo alla severa coscienza morale di Grasso. Il dirigente di un’azienda che sia stato dimesso dalla medesima siamo sicuri possa scriverne serenamente, o sarebbe meglio si astenesse? Ma io non gli chiederò di cambiare mestiere. Se accadesse, non reggerei il colpo.

    di Renato Brunetta