Sulla barca di Francesco

Matteo Matzuzzi

Papa Bergoglio è tornato nelle sue amate periferie esistenziali, quei lembi di terra quasi alla fine del mondo dimenticati da tutti. A Lampedusa, estremo avamposto dell’Europa nel cuore del Mediterraneo, Francesco c’è stato per mezza giornata. Giusto il tempo di guardare sul Mac degli uomini della Guardia costiera il video del naufragio di un barcone di migranti avvenuto lo scorso 7 maggio, di gettare una corona di crisantemi gialli e bianchi a memoria di tutti i coloro (si calcola siano più o meno 19 mila dal 1988) che hanno trovato la morte al largo degli scogli di Lampedusa nel tentativo di mettersi alle spalle una vita di miseria, di scambiare qualche veloce parola con un gruppo di giovani immigrati africani e di celebrare la messa, nel campo sportivo dell’isola.

    Papa Bergoglio è tornato nelle sue amate periferie esistenziali, quei lembi di terra quasi alla fine del mondo dimenticati da tutti. A Lampedusa, estremo avamposto dell’Europa nel cuore del Mediterraneo, Francesco c’è stato per mezza giornata. Giusto il tempo di guardare sul Mac degli uomini della Guardia costiera il video del naufragio di un barcone di migranti avvenuto lo scorso 7 maggio, di gettare una corona di crisantemi gialli e bianchi a memoria di tutti i coloro (si calcola siano più o meno 19 mila dal 1988) che hanno trovato la morte al largo degli scogli di Lampedusa nel tentativo di mettersi alle spalle una vita di miseria, di scambiare qualche veloce parola con un gruppo di giovani immigrati africani e di celebrare la messa, nel campo sportivo dell’isola. E’ sembrato di rivedere il vecchio arcivescovo di Buenos Aires in una di quelle sue celebrazioni, nei vicoli della capitale argentina o in qualche campo con l’erba alta popolato da baracche di poveri e mendicanti. Se il giorno prima, nella solenne cornice della basilica di San Pietro, il Papa celebrava la messa per i seminaristi sotto il baldacchino del Bernini, con i sette alti candelieri sull’altare, a Lampedusa a riparare la sede papale c’erano tre semplici vele da windsurf mosse dal forte vento che faceva volare via lo zucchetto bianco dal capo di Bergoglio. Il piccolo altare, poi, non era nient’altro che una vecchia barca variopinta riadattata per l’occasione. Come i legni con cui sono stati realizzato il pastorale e il calice, provenienti da un relitto abbandonato dai migranti, ma comunque rivestito internamente d’argento come richiedono le norme canoniche.

    Bergoglio, che il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi ha descritto “molto toccato” dalla visita, era a suo agio. Una giornata di preghiera, di penitenza, il più possibile raccolta. Privata, si era detto all’inizio, come se la visita di un Papa (la prima nell’isola) potesse rimanere un fatto tra pochi intimi. Certo, Francesco ha preteso e ottenuto che non ci fosse al suo fianco la corte di vescovi e arcivescovi che Lampedusa, magari, l’avevano vista solo in cartolina. Ha chiesto che non ci fossero altre autorità civili e politiche se non quelle del luogo. Non ha voluto papamobile né jeep. Gli è bastata la vecchia Campagnola di un isolano, così come all’elicottero tra il Vaticano e Ciampino aveva preferito un viaggio in macchina a bordo di una comune berlina.

    L’ha voluta lui così, per andare a “toccare le piaghe di Gesù, carezzarle, curarle con tenerezza, baciarle”, aveva detto qualche giorno fa in una delle sue omelie a Santa Marta. Ecco perché i paramenti erano viola e la mitra bianca. Come in Quaresima. La preghiera per i morti, e l’invito chiaro e ineludibile a farsi un esame di coscienza, generale e collettivo. Era stato lui in persona a chiarire i motivi della visita organizzata in pochissimo tempo, solo una settimana: “E’ per risvegliare le coscienze. Quando alcune settimane fa ho appreso la notizia, che tante volte sui giornali è ripetuta, di immigrati morti in mare, il pensiero mi è tornato come una spina nel cuore che porta sofferenza”.

    Peccato e perdono, sangue e indifferenza. Sono stati questi gli elementi che hanno caratterizzato la celebrazione: dalla prima lettura tratta dalla Genesi in cui i protagonisti sono Caino e Abele, all’omelia del Papa centrata sulle domande di Dio: “Adamo, dove sei?”, “Dov’è tuo fratello?”. Ha parlato di globalizzazione dell’indifferenza – “ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!” – , ha denunciato il declino di una società che non sa più piangere: “Abbiamo dimenticato l’esperienza del ‘patire con’”. E la responsabilità per quei morti, dice severo il Papa citando Manzoni, è di tutti, “innominati senza nome e senza volto”. E poi, alzando per un attimo gli occhi dai fogli che teneva in mano, constata la caduta “nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare. Guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto”.

    Parole che riecheggiano quelle, pronunciate in un contesto diverso, di festa e allegria, sabato scorso durante l’incontro con i seminaristi e le novizie nell’Aula Paolo VI. In quell’occasione il Papa aveva ammonito a uscire, ad andare incontro all’altro, a non chiudersi in se stessi o nelle parrocchie. E ribadito l’invito ad ascoltare la chiamata e a non considerare la vocazione come mestiere: “Quando sento un prete che dice ‘ho scelto questa strada’, io dico che non mi piace per niente”, aggiungeva Bergoglio. Niente di nuovo, basta ricordare l’omelia della messa del Crisma dell’ultimo giovedì santo. Davanti a decine di sacerdoti, il Papa aveva chiesto loro di uscire a sperimentare l’unzione, a vivere in mezzo al gregge. Pena, il diventare “preti tristi”.

    Il monito lampedusano di Francesco, rivolto innanzitutto ai cristiani (qui l’aspetto penitenziale assai più che politico) ma ben squillante anche per tutti gli altri, ha rievocato il tono perentorio usato da Giovanni Paolo II vent’anni fa ad Agrigento. Lì c’era un nemico evidente da combattere e abbattere: la mafia. “Convertitevi, verrà il giudizio di Dio!”, urlò un Karol Wojtyla ancora nel pieno delle forze. Ieri, Bergoglio ha gridato contro l’indifferenza “che ci fa vivere in bolle di sapone. Belle, ma che non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.