
Larghe attese
Un governo ingabbiato tra piccioni e pitonesse
Giorgio Napolitano osserva in vigile silenzio le schermaglie tra i partiti della stranissima maggioranza. Il presidente della Repubblica, domenica, non ha gradito troppo gli avvertimenti che Mario Monti aveva indirizzato al governo di Enrico Letta, giudicati forse strumentali. Ma ancora meno piace al Quirinale il tramestio che agita Pd e Pdl intorno all’elezione dei nuovi vicepresidenti della Camera. Napolitano osserva da una parte la rigidità dei berlusconiani nel sostenere Daniela Santanchè e dall’altra guarda quasi con commiserazione la debolezza del Pd che, in piena fase pre-congressuale, non riesce a mantenere la disciplina nel suo gruppo parlamentare agitato dalla contesa interna e rende così incerto ogni patto siglato con gli alleati-avversari del Pdl.
Giorgio Napolitano osserva in vigile silenzio le schermaglie tra i partiti della stranissima maggioranza. Il presidente della Repubblica, domenica, non ha gradito troppo gli avvertimenti che Mario Monti aveva indirizzato al governo di Enrico Letta, giudicati forse strumentali. Ma ancora meno piace al Quirinale il tramestio che agita Pd e Pdl intorno all’elezione dei nuovi vicepresidenti della Camera. Napolitano osserva da una parte la rigidità dei berlusconiani nel sostenere Daniela Santanchè e dall’altra guarda quasi con commiserazione la debolezza del Pd che, in piena fase pre-congressuale, non riesce a mantenere la disciplina nel suo gruppo parlamentare agitato dalla contesa interna e rende così incerto ogni patto siglato con gli alleati-avversari del Pdl.
“Imu, Iva, F-35 e Daniela Santanchè hanno tutti una cosa in comune, slittano”. Scherzano così in Transatlantico i deputati del Pdl nel giorno in cui l’elezione della pasionaria alla vicepresidenza della Camera è saltata ancora una volta e, come gli altri dossier sensibili per gli equilibri della maggioranza, è slittata a data da destinarsi. Il partito del Cavaliere tiene duro sull’indicazione dell’onorevole Santanchè, la sua elezione è diventata un passaggio, per strano che possa sembrare, decisivo, come fa capire anche il capogruppo berlusconiano alla Camera Renato Brunetta: “La nostra candidata è lei, punto e basta. Il Pd deve rispettare i patti”. Ma il capogruppo del partito democratico Roberto Speranza, ieri, nel corso dell’ufficio di presidenza, a un certo punto ha alzato le braccia al cielo: non garantiamo i voti. Nel partito si intrecciano troppe battaglie interne e il dossier Santanchè è diventato per i deputati renziani, e non solo, uno strumento per manifestare malumore ed esercitare pressioni che nulla hanno a che vedere con gli incarichi istituzionali di Montecitorio.
Renzi infatti si è posizionato in trincea. Il sindaco di Firenze vorrebbe che le regole del congresso fossero cambiate e ieri ha attaccato duramente, senza mai citarlo, Massimo D’Alema e con lui tutto il gruppo dirigente, dai bersaniani a Gianni Cuperlo fino a Stefano Fassina e il segretario Guglielmo Epifani. “Mi trattano come un bambino bizzoso”, ha detto Renzi, “cui si promette la caramella se non piange. Signori, conosco il giochino. I capicorrente romani prediligono lo sport del tiro al piccione. E io sinceramente non ho molta voglia di fare il piccione”. D’Alema lo aveva esplicitamente accusato di pretendere modifiche dello statuto a suo vantaggio, “abbiamo già modificato lo statuto per lui una volta. Mica possiamo sempre usare le regole per Renzi”. L’attuale statuto prevede che il segretario del partito e il candidato premier del centrosinistra siano due personalità distinte. “Io faccio una battaglia se voglio affermare un’idea, non se devo ambire a una poltrona”, ha risposto Renzi. “La poltrona al massimo è strumentale alla realizzazione dell’idea, non è il contrario”.
Violante, Gasparri, Fitto e Schifani ieri hanno provato a tessere una rete di sicurezza, un’impalcatura, attorno alla logica delle larghe intese. Nel corso di un convegno organizzato dalla fodazione di Maurizio Gasparri, Italia protagonista, l’ex presidente della Camera Luciano Violante (membro della commissione dei cosiddetti “saggi” che si occupano delle riforme istituzionali) si è rivolto ai colleghi del centrodestra parlando di presidenzialismo. “Bisogna evitare scontri inutili, sul presidenzialismo non esistono più i vecchi pregiudizi”, ha detto Violante. “L’elezione diretta del capo dello stato è un’ipotesi affascinante. Credo fermamente che, al di là del modello, il presidente della Repubblica dovrà essere eletto da una base più ampia di quella attuale, costituita dal solo Parlamento”. Pur nella palude parlamentare, il meccanismo avviato sulle riforme istituzionali va avanti e ampi settori di Pd e Pdl collaborano, come hanno detto ieri sia Raffaele Fitto sia il vicepresidente del Senato Gasparri: “Non c’è più una pregiudiziale nei confronti dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Con questa legislatura abbiamo l’occasione di dotarci anche noi di un sistema istituzionale più agile, come in Francia o in America”.


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