Corriere, la resa dei borghesi

Giuliano Ferrara

La resa dei borghesi continua. Diego Della Valle sta abbandonando, salvo sorprese, il progetto di fare l’editore del Corriere della Sera. Costa troppo. Non c’è un quadro di riferimento sicuro per l’esercizio di un potere manageriale, editoriale. La galassia milanese resterebbe una confusa divinità celeste, finanziariamente debole, e l’impresa di razionalizzare il regime dei patti di sindacato nel nome del famoso “nuovo capitalismo”, costruendo un vero fattore di concorrenza identitaria al gruppo De Benedetti, sembra destinata al fallimento. Si torna ai consorzi bancari, a una Fiat più o meno disimpegnata, al reticolo autoparalizzante e pasticcione del gigante di carta senza un vero editore.

Brambilla Della Valle fa il prezioso con Rcs, ma chi ora disprezza comprerà nel 2014?

    La resa dei borghesi continua. Diego Della Valle sta abbandonando, salvo sorprese, il progetto di fare l’editore del Corriere della Sera. Costa troppo. Non c’è un quadro di riferimento sicuro per l’esercizio di un potere manageriale, editoriale. La galassia milanese resterebbe una confusa divinità celeste, finanziariamente debole, e l’impresa di razionalizzare il regime dei patti di sindacato nel nome del famoso “nuovo capitalismo”, costruendo un vero fattore di concorrenza identitaria al gruppo De Benedetti, sembra destinata al fallimento. Si torna ai consorzi bancari, a una Fiat più o meno disimpegnata, al reticolo autoparalizzante e pasticcione del gigante di carta senza un vero editore. Senza una faccia che non sia la ormai lontana eredità morale, psicologica dell’avvocato Agnelli.
    Le conseguenze sono molte e tutte piuttosto negative. Quelle minori, per così dire, riguardano una cosa importante ma non cruciale: il destino del piano editoriale elaborato sotto la sorveglianza degli attuali reggitori, i galattici. Il tutto è collegato al disperato bisogno di iniezioni di investimento legato all’aumento di capitale e ai buchi che si aprono nella compagine azionaria anche per il defilamento annunciato di soci storici come Mediobanca e affiliati, oltre a Giuseppe Rotelli che la sua decisione di rinuncia l’ha già presa e confermata. C’è il ruolo del consorzio bancario, sempre più ambiguamente coinvolto sia dal lato del creditore sia dal lato del debitore.

    Il punto dolente è però culturale e politico. Il Corriere è un bastimento che fa acqua, d’accordo. I problemi finanziari che fossero oggi composti senza un investimento serio, nuovo, fresco, in qualche senso anche avventuroso e “di potere” e di mercato, non scomparirebbero dall’orizzonte, si ripresenterebbero intatti nel giro di tempo buono per esaurire una sistemazione traballante e provvisoria. Ma il Corriere resta, per storia e significato potenziale, il giornale di riferimento del paese, specie a partire dal nord, dalle forze decisive di industria e finanza. E’ un giornale basico, per usare un brutto termine, che non esprime lo spirito militante e tribunizio tipico del suo concorrente, la Repubblica. Ambisce da sempre, invece, a fare suo un discorso, che non ha mai quagliato anche in ragione della sua debolezza strutturale, su Italia ed Europa, su economia e lavoro, su industria e relazioni sociali, su cultura e linguaggio di una società che di uno specchio editoriale non fazioso, ma mobilitato e attivo, avrebbe un effettivo bisogno.

    Dopo l’esilio di Fiat e Marchionne, dopo il fallimento politico della proiezione montiana della tecnocrazia che depoliticizza la democrazia, nel pieno di una battaglia tra la prospettiva della pacificazione, con la riforma di istituzioni e società, e rinfocolamento dei vecchi vizi bellicosi del maggioritario governato a partire dalle istanze neopuritane e altri moralismi, il Corriere non riesce a sollevarsi sul pelo dell’acqua, a ritrovarsi in una scelta e in un obiettivo che sanzionino l’esistenza di una classe generale a titolo di classe dirigente liberale. E’ dura investire nella editoria cartacea in questo momento, chiaro. E’ dura mollare le redini di un giornalone a un temperamentale che ha qualche idea chiara in un mare di confusione, come è Della Valle, d’accordo. Ma con una Confindustria che parla da muta, non comunica altro che genericità, e un clima di ritorno alla concertazione aiutato dalla debolezza della politica romana, spicca la vicenda del Corriere lasciato a bagnomaria, spicca per la sua inanità, per la assenza di ogni spinta interessante e positiva.

    Gli uomini di denari e quelli di idee non si muovono, se non per confermare il già noto, che è poco. La crisi del modello di sviluppo italiano in Europa resta senza il giornale che potrebbe raccontarla in modo incisivo e impegnato, soprattutto impegnato. Resta campo libero per tutte le nuove avventure del già visto. Smottamenti progressivi, perdita di ricchezza sociale, depotenziamento culturale, omologazione della tribuna laica e borghese ai vezzi e ai vizi di un’editoria concorrente e arrembante, anch’essa piena di guai ma sotto il saldo controllo di un ceto intellettuale che ambisce a impossessarsi delle ragioni del Corriere come grande giornale nazionale, per piegarle a altri progetti, fin dai tempi della storia della P2 e del giornale di Alberto Cavallari. Forse il nuovo capitalismo non esiste, non c’è la spinta anche generazionale a cambiare le cose, nonostante i temperamenti e le tirate da attaccabrighe. Forse è solo una dialettica spenta tra gentiluomini accasciati e barbari privi della voglia di combattere. Peccato perché, come dice il poeta, forse i barbari erano una soluzione.

    Brambilla Della Valle fa il prezioso con Rcs, ma chi ora disprezza comprerà nel 2014?

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.