Il matrimonio gay vince in America, ma la rivoluzione è rimandata

Oggi la Corte suprema americana si è espressa su due casi fondamentali riguardanti la validità dei matrimoni gay negli Stati Uniti. Le due decisioni, di notevole portata, hanno aperto spazi per una equiparazione, almeno a livello federale, tra matrimonio eterosessuale e matrimonio gay.
Dapprima la Corte ha dichiarato incostituzionale parte del Defense of Marriage Act (Doma), la legge voluta da Bill Clinton che escludeva dai benefit e dai sussidi federali le coppie omosessuali la cui unione fosse riconosciuta dalla legislazione di uno stato. Questo significa che anche le coppie omosessuali sposate in stati come il Massachussets potranno godere delle oltre mille leggi federali che tutelano le coppie tradizionali.
La dichiarazione di incostituzionalità è stata compilata dal giudice Kennedy, lo ‘swing voter’ che ha consentito ai quattro giudici liberal presenti nella Corte (Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Sonia Sotomayor and Elena Kagan) di ottenere una maggioranza di 5 voti su 4.
Il secondo giudizio verteva sulla cosiddetta Proposition 8, la legge che vietava il matrimonio gay in California. La Corte suprema, ancora una volta con una maggioranza di 5 a 4, questa volta trasversale, ha stabilito di non avere la giurisdizione per dirimere la vicenda, rimandando la questione a una corte inferiore che già in precedenza aveva eliminato il divieto ai matrimoni gay. La sentenza riapre la strada alla reintroduzione dei matrimoni gay in California.