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Come si comanda la chiesa secondo Bergoglio
Si guardavano sbigottiti, cardinali e monsignori, mentre il presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Rino Fisichella, annunciava il forfait del Papa al concerto per l’Anno della fede. Sabato la poltrona bianca in mezzo all’aula Paolo VI è rimasta vuota, per tutto il tempo in cui l’orchestra eseguiva la Nona di Beethoven. Francesco intanto era a pochi metri di distanza, nella sua suite a Santa Marta. Nel piccolo salottino austero (una scrivania di legno e tre sedie) riceveva uno dopo l’altro i nunzi apostolici giunti da ogni parte del mondo.
Si guardavano sbigottiti, cardinali e monsignori, mentre il presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, Rino Fisichella, annunciava il forfait del Papa al concerto per l’Anno della fede. Sabato la poltrona bianca in mezzo all’aula Paolo VI è rimasta vuota, per tutto il tempo in cui l’orchestra eseguiva la Nona di Beethoven. Francesco intanto era a pochi metri di distanza, nella sua suite a Santa Marta. Nel piccolo salottino austero (una scrivania di legno e tre sedie) riceveva uno dopo l’altro i nunzi apostolici giunti da ogni parte del mondo. Ci teneva ad ascoltare dalla loro voce e al riparo da orecchie indiscrete la reale situazione della chiesa lontano da Roma. Niente mediazioni della segreteria di stato: d’ora in poi si riferirà direttamente al Papa, avrebbe detto Bergoglio ai suoi diplomatici. Un ritorno al passato che ha visto i nunzi ben lieti di non avere più filtri tra loro e il Pontefice. Quello di sabato è stato un giro di consultazioni necessarie per farsi un’idea più chiara sui cambiamenti da apportare alla macchina curiale. Dopo tre mesi sul Soglio di Pietro, si può mettere mano all’assetto della governance vaticana, tanto criticata negli ultimi tempi del pontificato di Benedetto XVI.
Francesco ha preso nota di tutto, ma non vuole andare di fretta. Sa dove bisogna intervenire, ma preferisce fare con calma, valutare tutto, soppesare i pro e i contro delle singole scelte, prendersi tutto il tempo che serve prima di agire. Se necessario, saltando anche eventi mondani programmati da tempo. Tra dialogare faccia a faccia con un nunzio giunto a Roma dalle più lontane periferie a lui così care e gustarsi l’Inno alla Gioia con sfilata di ospiti da salutare, il Papa ha preferito saltare il momento musicale. Dopotutto, quel concerto era stato organizzato un anno fa, quando a regnare sulla chiesa era Joseph Ratzinger, capace di commuoversi mentre dal nuovo organo della Alte Kapelle di Ratisbona – da lui benedetto nel 2006 – uscivano le note di Johann Sebastian Bach. Bergoglio, da buon gesuita, nec rubricat nec cantat (non dà troppa importanza alle rubriche liturgiche né al canto), benché lui da bambino ascoltasse musica classica alla radio in compagnia della mamma. Di certo, confermava padre Lombardi, la musica non è tra i suoi interessi maggiori. Ecco perché non c’ha pensato molto prima di annullare la sua partecipazione al concerto. “Devo lavorare”, avrebbe detto secondo quanto si racconta in Vaticano. E sul tavolo del suo studio c’erano anche i dossier sulle questioni che riguardano la curia romana. Francesco è aperto alla collegialità ed è pronto a demandare agli episcopati locali le relazioni con i rispettivi governi. Ma quando si tratta di decidere, la parola spetta a lui soltanto. Giovanni Filoramo, storico del cristianesimo, lo diceva al Foglio: “Il Papa rimane sempre un monarca assoluto e non deve rendere conto a nessuno”. E Francesco si comporta da capo della chiesa quando sceglie personalmente gli otto componenti del gruppo che studierà come riformare la “Pastor Bonus”, la Costituzione apostolica che regola la curia. Ha voluto fare di testa sua, anche perché se si fosse limitato a seguire le indicazioni emerse nei giorni dell’interregno, i nomi erano già disponibili. “Gli sarebbe bastato chiamare attorno a sé i dodici cardinali eletti al termine di ogni Sinodo”, notava Sandro Magister sull’Espresso. Invece ha preferito puntare su porporati con cui ha affinità e una conoscenza di lunga durata. E così ha nominato coordinatore del gruppo l’amico Oscar Maradiaga, arcivescovo honduregno in prima linea nelle battaglie sociali su cui Bergoglio tanto sta insistendo. Francesco fa da solo, non considera i suggerimenti della Congregazione per i vescovi quando si tratta di scegliere il suo successore a Buenos Aires e sollecita la commissione di sorveglianza sullo Ior a nominare il fidato Battista Ricca quale nuovo prelato della banca vaticana. D’altronde, la Compagnia di Gesù è un’esperienza di gestione del potere accentrato, sul modello del papato. E Bergoglio, già superiore provinciale in Argentina, quel modello lo conosce bene.
Nel rincorrersi di indiscrezioni che circolano nei sacri palazzi, si danno per imminenti i primi cambiamenti: un diplomatico (gran favorito è il cardinale Giuseppe Bertello, con il quale il Papa si consulta quasi quotidianamente) alla segreteria di stato, cui seguirebbero altri spostamenti in ruoli chiave della curia, secondo il plurisecolare schema del promoveatur ut amoveatur.


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