“Braccio di ferro” a Bruxelles

Redazione

Il vertice di domani e dopodomani a Bruxelles, con i capi di governo dell’Unione europea, sarà l’occasione per “un confronto duro e importante”, “un confronto politico”. Lo ha annunciato ieri alle Camere il presidente del Consiglio, Enrico Letta, sorprendendo per una volta quanti ritengono che “europeista” sia sinonimo di “ligio esecutore delle decisioni prese dall’Unione europea”, e spiazzando quegli osservatori che avevano etichettato la proposta di Silvio Berlusconi e del Pdl di intavolare “un braccio di ferro” con Berlino come una boutade o un mero ricatto per il governo italiano di grande coalizione.

Carretta La Francia e i suoi gusti no global stritolano Barroso. Parla la Goulard

    Il vertice di domani e dopodomani a Bruxelles, con i capi di governo dell’Unione europea, sarà l’occasione per “un confronto duro e importante”, “un confronto politico”. Lo ha annunciato ieri alle Camere il presidente del Consiglio, Enrico Letta, sorprendendo per una volta quanti ritengono che “europeista” sia sinonimo di “ligio esecutore delle decisioni prese dall’Unione europea”, e spiazzando quegli osservatori che avevano etichettato la proposta di Silvio Berlusconi e del Pdl di intavolare “un braccio di ferro” con Berlino come una boutade o un mero ricatto per il governo italiano di grande coalizione. Una lettura politicista e falsa del contributo berlusconiano, come d’altronde aveva già confermato lo stesso Letta domenica scorsa, intervistato da Lucia Annunziata, quando ha spiegato che “un braccio di ferro è già in corso”  con i partner europei più recalcitranti ad avanzare sul dossier fondamentale dell’Unione bancaria, con buona pace dei fan dell’irenismo brussellese. Insomma, il presidente del Consiglio, sincero europeista da sempre, riconosce pubblicamente che uno spirito combattivo e un atteggiamento di tutela degli interessi nazionali siano funzionali a un avanzamento equilibrato del processo di integrazione europea. Semplice ma non scontato.

    Non essere subalterni a un astratto bon ton europeista, dunque, ma per ottenere cosa? Che la disoccupazione giovanile sia entrata di prepotenza nell’agenda dei leader europei sarà pure un buon segno, ma ridurre la carenza di posti di lavoro a problema “anagrafico” è riduttivo. Porta per esempio a ritenere che ci si possa accontentare di qualche soldo in più per formazione e stage transfrontalieri. Falso. L’occupazione riparte, se riparte, in tutte le fasce d’età. Meglio allora puntare, tra i dossier citati da Letta come prioritari per il governo, su una maggiore mobilità dei lavoratori nel mercato unico e su un impegno più attivo della Banca europea degli investimenti. Sul ruolo della Banca centrale europea, invece, passi per “l’interesse per possibili iniziative per promuovere forme di emissione e di titoli garantiti da prestiti alle imprese”, ma qui è la tutela stessa dell’indipendenza della Bce a richiedere qualcosa in più. Giampaolo Galli, ex direttore generale di Confindustria e deputato del Pd, ieri ha detto giustamente che a fronte dell’entrata a gamba tesa “addirittura” della Bundesbank, che sostiene un ricorso contro le scelte espansive di Mario Draghi di fronte alla Corte costituzionale tedesca, è “legittimo un intervento anche del governo italiano” a favore di una “politica più attiva”. Oggi infatti il credito bancario langue e la manifattura italiana s’inaridisce per colpa di storture dell’architettura dell’euro, quale che sia lo stato d’avanzamento dei “compiti a casa”. Perciò Draghi ha messo in campo lo “scudo anti spread”, e perciò va respinto ogni tentativo tedesco di legargli le mani. Se il “braccio di ferro”  è in corso, come ha detto Letta, non giocarci vuol dire per certo uscire sconfitti.

    Carretta La Francia e i suoi gusti no global stritolano Barroso. Parla la Goulard