That win the best

Dubbio: è peggio la Confederation Cup o chi la prende sul serio?

Jack O'Malley

Quando me ne hanno parlato, confesso di avere chiesto di ripeterne bene il nome: “Confede… what?”. In quanto inglese patisco da troppo tempo l’arrivo dell’estate: la pioggia si fa meno grigia a Londra, ma soprattutto ogni due anni la mia Nazionale – quando va bene – si gioca i mondiali o gli europei. E ogni volta è una tragedia. La palla è rotonda, mi ripeto immedesimandomi in un telecronista di Rai Sport, prima o poi vinceremo qualcosa. Nonostante le sofferenze che mi procura a livello di Nazionale, però, continuo a pensare che il calcio sia una cosa tremendamente seria (fatta eccezione per il Barcellona, la Fifa e certe dichiarazioni di Platini).

    Londra. Quando me ne hanno parlato, confesso di avere chiesto di ripeterne bene il nome: “Confede… what?”. In quanto inglese patisco da troppo tempo l’arrivo dell’estate: la pioggia si fa meno grigia a Londra, ma soprattutto ogni due anni la mia Nazionale – quando va bene – si gioca i mondiali o gli europei. E ogni volta è una tragedia. La palla è rotonda, mi ripeto immedesimandomi in un telecronista di Rai Sport, prima o poi vinceremo qualcosa. Nonostante le sofferenze che mi procura a livello di Nazionale, però, continuo a pensare che il calcio sia una cosa tremendamente seria (fatta eccezione per il Barcellona, la Fifa e certe dichiarazioni di Platini). Eppure la notizia che esista una cosa che si chiama Confederation Cup mi ha fatto vacillare. Il colpo di grazia è arrivato quando sono andato a vedere che cos’è in effetti. Otto squadre pescate a caso in giro per il mondo giocano una parodia del Mundialito  sostanzialmente per testare gli stadi in cui l’anno dopo si giocherà il Mondiale (quello vero). Ma la cosa più imbarazzante non sono queste amichevoli estive travestite da torneo internazionale, quanto la serietà con cui commentatori, telecronisti e giornalisti ne parlano. Lo spettacolo deve andare avanti, diceva qualche tempo fa un mio connazionale che di questi tempi sarebbe andato ancora di moda non solo per le qualità canore, la finzione deve reggere alla prova degli sponsor e degli sbadigli dei tifosi. Ieri un lettore mi ha girato un video di una vostra tv locale in cui il baffuto Tiziano Crudeli rischiava l’infarto esultando per il gol di Balotelli contro la rappresentativa di uno stato dell’America centrale che giocava in infradito e sombrero. Non ci volevo credere. A completare l’opera, come in un déjà-vu del politicamente corretto, i commenti sull’integrazione del nero italiano (ogni volta che segna Super Mario è come se il ministro Kyenge dicesse qualcosa, per i giornali) e la ramanzina sul ragazzaccio bullo che si toglie la maglietta, reagisce alle provocazioni e prende a calci le bottigliette. Capisco che la gente abbia bisogno di parlare di calcio tutto l’anno, e in un periodo in cui il massimo che il calciomercato può offrire è un dibattito su dove andrà una riserva del Real Madrid che gioca in attacco il prossimo anno ci si attacchi a tutto, ma più la guardo più questa Confederation Cup mi sembra una di quelle repliche di Cochi e Renato o di Benny Hill (sempre sia lodato) che Rai e Mediaset mandano in onda durante l’estate per non essere costretti a trasmettere uno schermo nero. La si prenda per quello che è, per favore: un torneo di fine stagione tra squadre mediamente forti e altre tremendamente scarse per lanciare la volata al Brasile per il prossimo anno. Capisco i brasiliani che protestano in piazza: se non passassi i miei pomeriggi nella quiete di Hyde Park, andrei a protestare pure io per questa pagliacciata che fa sembrare la Liga una cosa seria.