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Redazione

La Ert, non chiusa ma sospesa dal governo greco con la promessa di farne una emittente più piccola ed efficiente con un organico ridotto a 1.200 dipendenti, ha occupato finora 2.780 persone con un costo annuo di 300 milioni di euro l’anno. Il portavoce dell’esecutivo greco, Simos Kedikoglou, ex giornalista della stessa emittente, ha definito la televisione di stato greca “un’oasi di sprechi insopportabili, tanto più in un paese in crisi”. La Rai, nell’ultimo bilancio 2012, ha evidenziato un deficit di 200 milioni, che il direttore generale Luigi Gubitosi, nominato dal governo di Mario Monti, promette di portare al pareggio nel 2014, e all’utile nel 2015.

Nel Foglio in edicola altre analisi, commenti e approfondimenti sulla crisi greca

    La Ert, non chiusa ma sospesa dal governo greco con la promessa di farne una emittente più piccola ed efficiente con un organico ridotto a 1.200 dipendenti, ha occupato finora 2.780 persone con un costo annuo di 300 milioni di euro l’anno. Il portavoce dell’esecutivo greco, Simos Kedikoglou, ex giornalista della stessa emittente, ha definito la televisione di stato greca “un’oasi di sprechi insopportabili, tanto più in un paese in crisi”. La Rai, nell’ultimo bilancio 2012, ha evidenziato un deficit di 200 milioni, che il direttore generale Luigi Gubitosi, nominato dal governo di Mario Monti, promette di portare al pareggio nel 2014, e all’utile nel 2015. Ma lo stesso Gubitosi non ha nascosto, nel Consiglio d’amministrazione del 9 aprile scorso, tutte le difficoltà nel raggiungimento di questi obiettivi, che subirebbero dunque il fallimento toccato a tutti i precedenti piani industriali di Viale Mazzini. I motivi: ai 200 milioni di rosso se ne aggiungono fin da ora 53 per un piano di prepensionamento che coinvolge 600 dipendenti. I quali, peraltro, sono 13.229, “dei quali” – osserva il documento – “quelli sotto i 30 anni (cioè anche a più basso costo del lavoro) sono meno di 50, mentre su 250 dipendenti appena 10 hanno meno di 40 anni”. In compenso la Rai vanta 43 direttori, il cui taglio a 28 (attraverso un accorpamento delle direzioni non con lo smaltimento fisico degli interessati) è saltato. Facendo un paragone con la Ert, il rapporto tra perdite e dipendenti è indubbiamente favorevole all’Italia, ma c’è da considerare che il canone è di 113,5 euro contro 51,6. Mentre il rapporto tra dipendenti e abitanti, cioè il massimo bacino potenziale di utenza, è addirittura migliore in Grecia: uno ogni 4.863 rispetto a uno ogni 4.459.

    Quanto alla struttura delle due tv pubbliche, quella greca è più snella. Ert ha tre canali principali e altri due (Hd e News), oltre a 29 radio e una piattaforma web. La Rai ha tre reti generaliste, dodici canali tematici oltre alla immensa Tgr, la testata giornalistica regionale. Le testate radio sono dieci, più quelle regionali. Ma soprattutto Viale Mazzini ha sofferto, e soffre, di una perdita di fatturato pubblicitario che nel 2012 ha superato i 120 milioni su ricavi complessivi di meno di due miliardi: un problema che ha colpito anche Mediaset, dove però l’azienda ha varato da tempo un piano di austerity che alla Rai non si è visto. Il Biscione aveva perso anche più della rivale (287 milioni) ma nei primi tre mesi del 2013 è tornata in attivo grazie a una riduzione di costi preventivata prima in 250 milioni, poi in 302. Ora l’obiettivo è stato alzato a 450 milioni nel 2014. A Mediaset, dove i dipendenti sono 6 mila, sono stati tagliati i bonus e per le cariche di vertice anche gli emolumenti base. La Rai continua invece a usufruire di un contratto integrativo in aggiunta a quello giornalistico (l’ultimo è stato firmato il 7 febbraio scorso dopo un negoziato di un anno), gestito dal potentissimo sindacato Usigrai. L’integrativo non presenta né tagli, né piani di solidarietà come in tutte le redazioni italiane,  né riduzioni particolari del costo del lavoro, che già nel 2011 aveva superato il miliardo di euro, aumentando a 1,027 milioni nel 2012: 77.630 euro a dipendente. Inferiore a Mediaset pro capite, ma triplo in rapporto al fatturato, proporzione che alla Rai tocca il 35 per cento. Neppure gli altri due principali concorrenti della Rai se la passano ovviamente bene: La7, l’altra tv generalista, è stata appena ceduta dalla Telecom a Urbano Cairo dopo avere accumulato perdite per 50 milioni.

    Quanto a Sky, la televisione satellitare e monopolista di Rupert Murdoch fa i conti per la prima volta con un calo di abbonati – 51 mila su 4,78 milioni che ne rimangono – e di utile: in rosso di 11 milioni di dollari (7 milioni di euro) rispetto ai 40 milioni di dollari di attivo del 2011. Tuttavia rispetto a Sky, Mediaset e La7, la Rai presenta una singolare caratteristica: non aver varato nessun piano serio di austerity. Se a Mediaset si tagliano bonus e piccoli benefit – dai taxi alle mazzette di giornali – e La7 viene ceduta a un editore low cost come Cairo, mentre a Sky la News Corp di Murdoch ha messo in atto una strategia duplice di promozioni e tagli, nulla di tutto questo si riesce a scorgere dalle parti della Rai. Dove è passata in cavalleria perfino la vendita del palazzo di Viale Mazzini, peraltro non facilissima causa la presenza di amianto. Il risultato è una riduzione di investimenti che ha visto via via la Rai soccombere soprattutto nei diritti sportivi, e sempre a vantaggio di Sky: dal calcio alla Formula Uno alle Olimpiadi.
    Del resto in nessun altro grande paese europeo c’è una televisione pubblica come la Rai (e come quella greca fino alla settimana scorsa): in Francia la privatizzazione di TF1 venne effettuata da Jacques Chirac e i canali di stato sono rimasti due, così come in Germania. Anche il mito inglese, la Bbc, ha due canali e dal 1990 deve vedersela con il Broadcasting Act promulgato nel 1990 da Margaret Thatcher; stessa situazione in Spagna dove la Tve è articolata su due reti che hanno un’audience di appena il 17 per cento.

    Proprio sulla base di tutto questo, e ben prima della crisi, si era deciso in Italia di ridurre a due le reti pubbliche, e a due quelle terrestri Mediaset, spedendo sul satellite Rai3 e Rete4. Nulla si è mosso: ecco perché (il Foglio di ieri) la chiusura di Ert è stata “un sussulto e un transfert” per l’Italia. Che a quanto pare resterà tale. Altrove le televisioni pubbliche sono state riformate e riportate al loro giusto ruolo e dimensioni di mercato da governi forti, e ben prima della crisi. Da noi non ci si è riusciti né con il vincolo esterno né con il governo tecnico di Monti. Figuriamoci con le larghe intese: che proprio nella Rai hanno sempre trovato la massima larghezza, e la massima intesa.

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