Mourinho in Premier League si sente come Bersani alla bocciofila, a casa

Jack O'Malley

E’ stato come tornare a casa dopo tanto tempo. Un lungo viaggio, o un lavoro importante che lo ha tenuto lontano per qualche anno. Per noi, che lo abbiamo aspettato nel nostro salotto, la teiera ancora calda sul tavolino, è stato come riabbracciare un amico. Anche i migliori hanno bisogno di tornare tra le mura domestiche per ritrovarsi, e Mourinho non ha fatto eccezione. Più calmo, più saggio, più grigio, meno incazzato e meno speciale. “Felice”, ha detto il Filosofo di Setúbal, come se fosse un giocatore brasiliano. Perché, ci dispiace per gli interisti, la Serie A, i portoghesi e persino gli spagnoli, Mourinho è a casa in Premier League.

    Londra. E’ stato come tornare a casa dopo tanto tempo. Un lungo viaggio, o un lavoro importante che lo ha tenuto lontano per qualche anno. Per noi, che lo abbiamo aspettato nel nostro salotto, la teiera ancora calda sul tavolino, è stato come riabbracciare un amico. Anche i migliori hanno bisogno di tornare tra le mura domestiche per ritrovarsi, e Mourinho non ha fatto eccezione. Più calmo, più saggio, più grigio, meno incazzato e meno speciale. “Felice”, ha detto il Filosofo di Setúbal, come se fosse un giocatore brasiliano. Perché, ci dispiace per gli interisti, la Serie A, i portoghesi e persino gli spagnoli, Mourinho è a casa in Premier League. Lo si è visto subito, lunedì: sembrava Riotta a un convegno sui Big Data, Travaglio a un raduno di magistrati democratici, Bersani alla bocciofila: a casa. Si è guardato intorno, ha salutato gli amici, chiesto scusa per il ritardo. Si è detto dispiaciuto per non potere ritrovare Sir Alex Ferguson quando il suo Chelsea andrà a giocare all’Old Trafford, contento di ritrovare Arséne Wenger, felice di riabbracciare i tifosi dei Blues e soprattutto soddisfatto dello stipendio.

    Madrid e la Spagna sono due brutte bestie. Il calcio sta a quei luoghi come una birra analcolica a un pub, è roba finta. Di colpo nei suoi occhi si sono viste tutte, le mazzate che Mou ha preso in questi anni, tutte le incazzature che Ronaldo gli ha procurato, i mal di fegato che la retorica sul Barcellona dei fenomeni gli ha fatto venire, i capelli bianchi che il solo nome di Guardiola gli ha fatto spuntare in testa. Si dica quello che si vuole, ma la Premier League è ancora un posto umano, dove uno può tornare nove anni dopo riabbracciando gli amici, persino i nemici. E’ tornato socratico, José: “Tredici anni fa pensavo di sapere tutto, oggi so di non sapere”. Al di là della retorica, nell’anno dell’addio al calcio “panchinato” di Ferguson ci serviva uno come Mou da questa parte della Manica. Quando arrivò a Chelsea, nel 2004, riportò il titolo di Campioni d’Inghilterra a Stamford Bridge dopo cinquant’anni di bacheche impolverate, ma non riuscì a vincere in Europa. Ora che è tornato a casa, però, sa che gli inquilini che l’hanno occupata nel frattempo hanno vinto più di lui. Finora Mou aveva risollevato società in crisi: prima il Porto, poi i Blues, l’Inter e in parte il Real (interrompendo la serie di vittorie consecutive della Liga da parte dei circensi blaugrana). Adesso è molto più difficile. Mancava una seconda volta, nella carriera di Mou. Per questo lui stesso è diverso, più calmo, sottotono, come se gli effetti speciali fossero finiti. Anche se non ha perso il gusto della provocazione: a chi gli ha chiesto se il Chelsea stesse cercando Boateng ha risposto che “nell’ultimo anno ha fatto più cambi di look che gol”. Quando la panchina dello United si era liberata, un mese fa, in molti avevano fatto il suo nome come unico degno sostituto di Sir Alex. “Sono nel posto in cui volevo essere”, ha risposto a chi gli domandava se non avesse pensato alla panchina dei Red Devils, che suona un po’ come rispondere “è simpatica” alla domanda “è carina quella ragazza?”. E’ la prima volta che è lui ad avere bisogno di una squadra più di quanto quella squadra abbia bisogno di lui. Al confronto di quella che sta per iniziare, l’ultima terribile stagione a Madrid gli sembrerà un tiro a porta vuota.