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Replica (con garbo)
Alfano: "Invece di discolparsi con Rep., Letta lavori con noi per un ruolo in Europa"
Angelino Alfano ha deciso di replicare, come vedrete con garbo, ma non senza una punta di irritazione, al suo presidente del Consiglio, di cui per formazione, per età e per ruolo è una specie di avversario-gemello. Questo il succo di un'intervista con lui dopo l'invito di Berlusconi a farsi sentire decisivamente in Europa, con la Germania, e le risposte che Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni gli hanno dato a Firenze. E' una conseguenza del risultato delle elezioni municipali a Roma, visto che sono rare le polemiche politiche nel vertice dell'esecutivo? “Roma non c'entra”, sostiene Alfano.
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Angelino Alfano ha deciso di replicare, come vedrete con garbo, ma non senza una punta di irritazione, al suo presidente del Consiglio, di cui per formazione, per età e per ruolo è una specie di avversario-gemello. Questo il succo di un’intervista con lui dopo l’invito di Berlusconi a farsi sentire decisivamente in Europa, con la Germania, e le risposte che Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni gli hanno dato a Firenze. E’ una conseguenza del risultato delle elezioni municipali a Roma, visto che sono rare le polemiche politiche nel vertice dell’esecutivo? “Roma non c’entra”, sostiene Alfano. “Il voto nella città capitale ha in sé un elemento simbolico e mi spiace che la sindacatura di Gianni Alemanno non sia stata confermata e premiata, ma la vita continua, e il governo di larga coalizione vive obiettivamente oltre il perimetro delle battaglie amministrative parziali. Roma è Roma, ed è su questo che si è votato, sebbene come al solito esistano problemi più generali per noi quando al voto vanno soggetti politici e combinazioni organizzative senza la stampigliatura personale di Silvio Berlusconi”.
Cos’è allora che non va negli orientamenti espressi da Tesoro e Palazzo Chigi in questi giorni? “Parlo con spirito costruttivo e sono dello stesso parere del presidente Giorgio Napolitano: ora si esigono fatti invece che agitazione di bandiere di parte. Ma è un fatto, o diventa un fatto, l’insistenza di Enrico Letta sul carattere di necessità del governo che presiede, insieme con una delegazione del Pdl e del gruppo di Mario Monti. Entro certi limiti, sono d’accordo: non stiamo insieme perché abbiamo cercato questo risultato in campagna elettorale, dipende dal responso delle urne il fatto di esserci messi in uno stesso ministero, con una comune maggioranza. Ovvio, persino. Non il solo Pd, anche noi sentiamo come un limite il non poter dispiegare fino in fondo il nostro programma, le nostre idee sul futuro dell’Italia e sul suo presente. La differenza è che il Pd a questa soluzione è arrivato solo e soltanto nel momento in cui ha finalmente deciso di rispettare il principio di realtà, illustrato alle Camere riunite da un presidente rieletto, con un memorabile discorso. Mentre noi l’intuizione realista l’avevamo avuta prima e abbiamo conformemente lavorato per realizzarla”. Va bene, questo è sotto gli occhi di tutti, ma che cosa in particolare l’ha indotta ora alla polemica? “Vede, se il tema del governo di necessità si ripete come una giaculatoria politica, il risultato è che quel che appare, anche al di là delle intenzioni di un presidente dell’esecutivo che ha voglia di fare nel tempo giusto le cose giuste, è un governo senza una sua missione autonoma, senza la capacità di indicare un percorso non asfittico dentro la grande crisi europea, che condiziona la vita quotidiana di milioni di italiani. Ed è il tema, per l’appunto, che aveva posto Berlusconi nella intervista al vostro giornale, senza i toni ricattatori e ultimativi che gli sono stati attribuiti per gola, per avidità di risultato politico, dai nostri superavversari”.
Immaginiamo che lei stia parlando del partito di Repubblica e della sinistra radicale che preme su Repubblica contro una soluzione di unità nazionale alla quale attribuisce ogni nefandezza per principio. “Appunto. A Firenze, con tanti bei canti e balli, era riunito il Congresso nazionale di quel partito, riunito intorno al grande giornale di riferimento. Enrico è andato lì a parlare. Tutto bene. Non ho niente da eccepire, naturalmente, sono una persona aperta e amo anch’io il dialogo con l’opinione pubblica”. Ma… “Ma essendosi riunito quel Congresso all’insegna della lotta contro la ‘pacificazione’ cosiddetta, con lo scopo di inchiodare il governo ad apparire come una melassa che non è affatto nella sua natura e di chiamare il suo capo a discolparsi, è singolare che il presidente, invece di dialogare sulla base della sua autonomia, si sia in qualche misura discolpato. Come se dovesse giustificarsi omaggiando il pubblico e i maggiorenti del partito di Repubblica con le parole che volevano sentirsi dire. Ha cominciato il titolare dell’Economia, attribuendo indirettamente ma chiaramente a Berlusconi atteggiamenti di vecchio euroscetticismo che non erano implicati minimamente dalle sue parole. Ha continuato Letta spiegando a Ezio Mauro, direttore del giornale e animatore del Congresso, che lui non prende ordini da Berlusconi. Direi che, per essere davvero equilibrato e persuasivo, il nostro presidente avrebbe dovuto dire che non prende ordini da nessuno, perché il governo sta insieme per necessità, ma di questa necessità cerca di fare virtù nel nome dell’interesse generale degli italiani. Non dico in vista di una pacificazione intesa come la intendono a Repubblica, l’amnesia culturale sui vent’anni trascorsi, ma almeno in corrispondenza di una decisione in cui si crede, e che si crede utile a disboscare la politica da inutili e controproducenti faziosità, una eco delle quali si sente proprio nei propositi bellicisti dei rinfocolatori anti-pacificazione. Voi del Foglio e di altri giornali battaglieri qualche volta la fate troppo facile, perché mediare una politica di unità nazionale è un compito arduo, ma in questo caso anch’io sono stato colpito da un elemento di sordità al senso di una missione comune che è emerso dalle parole del presidente del Consiglio”.
E dunque? “Dunque deve essere chiaro – conclude il vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno – che se c’è un governo esso è un soggetto corresponsabile anche politicamente, e se c’è da obiettare ai rinfocolatori, questa obiezione è di specifica pertinenza del suo capo. Il quale alla fine dice ovviamente quel che gli pare, ma se si lascia equivocare e se appare come il prigioniero di una formula della quale ha voglia di liberarsi al più presto, almeno davanti al pubblico chiassoso dei nemici ideologici di Berlusconi, poi ne sconta le conseguenze, anche in termini di immagine. Io credo in un governo di comune ispirazione, in cui si dialoga e se necessario si litiga, ma non in un governo che per compiacere i belligeranti, da qualunque parte sparino, arriva fino a negare che oggi l’Italia ha nel circuito Europa, integrazione fiscale e politica monetaria della Banca di Frencoforte, una immensa questione da affrontare con estremo rigore e senza tentennamenti. Ecco. Liberi tutti di essere responsabili con la propria testa e con il proprio linguaggio, il mio modo di essere responsabile è dirla chiara ai partner della larga coalizione: tutti dobbiamo remare nell’interesse esclusivo del paese e questo va fatto con meticolosa pazienza, con gradualità, ma anche con coraggio. Altrimenti non si va da nessuna parte”.
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