
Pensioni e lavoro per i giovani, battaglie contro sindacati e Confindustria
La scorsa settimana la Commissione europea ha deciso di chiudere la cosiddetta “procedura per deficit eccessivo” che aveva aperto nel 2009 contro l’Italia. Come membro dell’ex governo italiano, responsabile dell’elaborazione di due leggi di primaria importanza – le riforme del sistema pensionistico e del mercato del lavoro – ho tirato un grosso sospiro di sollievo quando ho saputo la notizia. La decisione di Bruxelles dimostra che i sacrifici che abbiamo dovuto imporre agli italiani per poter attuare il consolidamento fiscale iniziano a dare risultati.
di Elsa Fornero
La scorsa settimana la Commissione europea ha deciso di chiudere la cosiddetta “procedura per deficit eccessivo” che aveva aperto nel 2009 contro l’Italia. Come membro dell’ex governo italiano, responsabile dell’elaborazione di due leggi di primaria importanza – le riforme del sistema pensionistico e del mercato del lavoro – ho tirato un grosso sospiro di sollievo quando ho saputo la notizia. La decisione di Bruxelles dimostra che i sacrifici che abbiamo dovuto imporre agli italiani per poter attuare il consolidamento fiscale iniziano a dare risultati.
Le nostre sono state riforme fatte in risposta ad un’emergenza profonda. Quando il governo di Mario Monti si è insediato il 16 novembre 2011, le finanze pubbliche italiane erano vicine al collasso e la politica era ad un punto morto. Gli operatori finanziari stavano volgendo le spalle alle aste per il debito sovrano italiano. I pochi che vi prendevano parte imponevano spread di 500 punti base sui Bund tedeschi per i Bond a 10 anni.
Non è un’iperbole dire che il collasso finanziario era dietro l’angolo. La possibilità che gli interessi non venissero pagati e non si potesse fare rollover sui Bond in scadenza era tremendamente reale.
In tale scenario, i salari dei dipendenti pubblici potevano essere a rischio. Le amministrazioni centrali e locali già non erano in grado di pagare i fornitori, i cui pagamenti insoluti eccedevano i 70milioni. L’invito "FATE PRESTO!" che il Sole 24 Ore aveva messo a tutta pagina in prima il 16 novembre rifletteva il clima.
La crisi finanziaria, comunque, era solo un lato della medaglia. L’altra era un lento declino industriale che affliggeva l’Italia da oltre 20 anni, riducendo quella che era un tempo la più brillante economia europea ad un’ombra di se stessa. Sia il settore pubblico che quello privato hanno tagliato le spese di ricerca e sviluppo. Le aziende italiane sono uscite da settori ad alta produttività quali quello elettronico, chimico e farmaceutico per concentrarsi invece su prodotti "made in Italy", ad intensità lavorativa e orientati al settore della moda – dove si sono scontrate con una dura competizione sempre crescente da parte delle nazioni in via di sviluppo.
I politici si sono rifiutati di riconoscere tali realtà in cambiamento, persistendo nel fare promesse irrealizzabili. Prevaleva l’auto indulgenza.
Nel mio nuovo ruolo di ministro del Lavoro, il giorno nel quale il governo si è insediato, Monti mi ha chiesto di occuparmi della riforma del sistema pensionistico italiano. Era una riforma che il precedente governo Berlusconi aveva promesso nell’estate del 2011 ma che non aveva affrontato prima di cadere.
Avevo studiato sistemi pensionistici per più di 20 anni. E mi si chiedeva allora di ristrutturare quello italiano in meno di 20 giorni.
La riforma doveva essere profonda, con pochissime concessioni in termini di periodo di transizione. Estendeva a tutti i lavoratori, per le future pensioni di anzianità, il metodo basato sulla contribuzione per calcolare i benefici. Innalzava le età pensionabili e le indicizzava ai cambiamenti nelle aspettative di vita. Ristrutturava in modo profondo le pensioni accumulate con l’anzianità. Allineava le età pensionabili delle donne a quelle degli uomini a partire dal 2018. Aumentava la tassazione sulle retribuzioni per gli autonomi ed imponeva speciali tasse di solidarietà sulle pensioni più alte. Congelava, per due anni, l’indicizzazione delle pensioni ai prezzi, escludendo solo le fasce più basse dei benefit pensionistici.
La maggior parte delle famiglie italiane dovette rivedere le loro strategie di risparmio per poter affrontare la nuova, più difficile situazione. In modo prevedibile, divenni il bersaglio di una protesta molto ampia. E’ un tributo agli italiani però dire che ricevetti anche ampio supporto, principalmente da normali cittadini che realizzarono che il sacrificio era necessario per poter portare ordine nel disastro finanziario nazionale.
Purtroppo è passato ampiamente inosservato che la riforma attuava un ribilanciamento del peso della popolazione anziana italiana, in favore dei giovani. Questo correggeva decenni di generose promesse politiche che avevano portato all’enorme “debito pensionistico”, che gli sforzi riformatori del passato avevano ridotto in modo insufficiente. La mia mancanza di abilità nel convogliare questo messaggio in modo chiaro al pubblico resta per me fonte di rimpianto.
Come la riforma delle pensioni, la susseguente riforma del mercato del lavoro era strutturale, ed è stata introdotta su richiesta tassativa di Ue, istituzioni internazionali e mercati finanziari. Idealmente, il timing della sua introduzione sarebbe dovuto essere quello di un periodo di espansione economica, piuttosto che di recessione. Il suo intento era quello di correggere le principali inefficienze del mercato del lavoro: segmentazione, rigidità, precarietà, bassa partecipazione delle donne e schemi selettivi di protezione sociale.
Nell’insieme, il mercato del lavoro italiano è sempre stato orientato a difendere lavori specifici, piuttosto che a migliorare l’impiegabilità dei lavoratori attraverso efficienti agenzie e servizi del lavoro. Questo doveva cambiare.
Mentre la riforma delle pensioni era stata promulgata in emergenza, e poteva di conseguenza essere introdotta attraverso decreto, la riforma del mercato del lavoro doveva passare attraverso un difficile confronto con sindacati e imprenditori, per non parlare di una dura discussione parlamentare. Non essendo un politico né un sindacalista, ho sbagliato a giudicare quanto le relazioni nel mercato del lavoro italiano fossero permeate da rituali. Imprenditori e sindacati erano soliti insultarsi reciprocamente, ed il governo appariva solamente nei round finali, per limare le differenze attraverso sussidi pubblici.
I sindacati si opponevano alle mie proposte di eliminare le garanzie che rendevano praticamente impossibile licenziare in Italia. Gli imprenditori si opponevano alle mie proposte di limitare gli abusi della cosiddetta “flessibilità” lavorativa che aveva alimentato per anni un’abnorme proliferazione di lavori a breve termine, instabili e malpagati, particolarmente per i giovani e le donne.
Le negoziazioni sono proseguite per circa tre mesi, seguiti da tre mesi di discussione parlamentare. Quando la riforma è stata finalmente approvata, nel luglio 2012, credo avesse preso la giusta direzione, riflettendo un compromesso soddisfacente. Come la riforma delle pensioni, la riforma del mercato del lavoro rilancerà l’economia italiana in favore delle generazioni più giovani. La riforma rafforza gli apprendistati, ad esempio, come un modo di aumentare la produttività del lavoratore, permettendo un ingresso più semplice e stabile nella forza lavoro.
Ovviamente, le riforme sono organismi viventi. Devono essere implementate in modo efficace, e devono essere compiuti gli aggiustamenti necessari. E’ incoraggiante che il nuovo governo italiano parli non di rivoluzionare le riforme Monti, ma piuttosto di usare un cacciavite per modificarle, attraverso procedure di monitoraggio e valutazione.
Questa medicina è stata troppo pesante? Con il senno di poi, la recessione sarebbe stata meno severa se i tagli alla spesa fossero stati più contenuti. D’altra parte, se il consolidamento fiscale fosse stato meno netto e credibile, il via libera di Bruxelles della scorsa settimana forse non sarebbe mai arrivato.
L’uscita dell’Italia dalla procedura per deficit eccessivo è sia un segno di speranza per le famiglie italiane – sia un avvertimento ai politici italiani affinché non ricadano nelle vecchie abitudini. Auguro a loro, ed alla nazione, di avere un brillante successo.
di Elsa Fornero
Copyright Wall Street Journal per gentile concessione di MF/Milano Finanza (traduzione di Sarah Marion Tuggey)


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