
Le idi di luglio
Governo in surplace tra affari di sistema, crisi e nomine pesanti
E’ forse un aggiustamento di linea nei rapporti con Enrico Letta quello che Silvio Berlusconi inaugura oggi a Roma. Il Cavaliere salirà sul palco allestito al Colosseo per la conclusione della campagna elettorale di Gianni Alemanno, e nel suo discorso a braccio, tra gli appunti, Berlusconi troverà la strada per pronunciare queste parole: “Noi non sosteniamo il governo in quanto tale, ma sosteniamo l’azione del governo”, insomma, pensa il Cavaliere, Letta deve subito negoziare in Europa e, senza perdere altro tempo, fare anche la voce grossa con Angela Merkel, se necessario.
E’ forse un aggiustamento di linea nei rapporti con Enrico Letta quello che Silvio Berlusconi inaugura oggi a Roma. Il Cavaliere salirà sul palco allestito al Colosseo per la conclusione della campagna elettorale di Gianni Alemanno, e nel suo discorso a braccio, tra gli appunti, Berlusconi troverà la strada per pronunciare queste parole: “Noi non sosteniamo il governo in quanto tale, ma sosteniamo l’azione del governo”, insomma, pensa il Cavaliere, Letta deve subito negoziare in Europa e, senza perdere altro tempo, fare anche la voce grossa con Angela Merkel, se necessario. “Bisogna sforare il rapporto deficit/pil, deve salire oltre il tre per cento altrimenti l’Italia muore. E noi non possiamo restare fermi, se il governo resta fermo”, ha spiegato il Cavaliere, rivolto ai castellani di Arcore, forse esagerando, perché quello del 3 per cento è un limite invalicabile anche per Letta, che su questo punto ha dato garanzie in Europa. C’è un sapore elettorale, tattico, in queste parole, certo, ma la questione è molto sentita anche a Palazzo Chigi, e persino al Quirinale, dove Giorgio Napolitano fa però esercizio di pazienza: gli equilibri europei non possono cambiare all’improvviso solo perché noi schiocchiamo le dita. Per il presidente il governo finora non si è mosso male, ma i prossimi due mesi sono decisivi anche secondo il capo dello stato. E infatti il Cavaliere, che allude alla spesa pubblica, pizzica un punto sensibile, come dice anche Linda Lanzillotta, vicepresidente della Senato: “Il governo rimane in equilibrio, sospeso, almeno fino agli inizi di luglio. I margini sono molto stretti, dovremmo occuparci dell’Irap, ma ci vogliono almeno dieci miliardi per un primo intervento. Si attende che l’Europa ci cosenta di fare un po’ di spesa pubblica. Anche l’Imu è stata solo un’anticipazione di tesoreria, una mossa senza copertura, fragile”. Surplace, dunque.
Mentre sulla scrivania di Letta si affastellano dossier complicati, l’uno sopra l’altro, come le nomine dei vertici di Finmeccanica, di Ferrovie, di Fincantieri e di Sace, un quadro di intricati equilibri che andrebbero sciolti anche questi entro luglio. Ma le nomine nelle grandi aziende a partecipazione pubblica accendono violenti appetiti, provocano nuove tensioni nella grande coalizione. Dunque c’è un tendenza a rimandare. Mentre la partita di Finmeccanica, l’azienda che tutti vorrebbero, si intreccia con l’Eni e con la scandenza di Paolo Scaroni, l’amministratore delegato che potrebbe lasciare prima del 2014. Un groviglio, per Letta, che vede avvicinarsi sullo sfondo due grane gigantesche che si chiamano Alitalia, la compagnia aerea un tempo di bandiera che potrebbe finire rinazionalizzata o ceduta quasi pro bono a un vettore straniero, e Telecom la compagnia telefonica (il cui rating è stato appena abbassato) che tutti vorrebbe scorporare dalla rete. Letta ne ha già parlato con Franco Bernabè. “Ma quanto comanderà alla fine dei negoziati la Cassa depositi e prestiti?”, si chiede il banchiere di sistema per eccellenza Cesare Geronzi. E quando si decide? “Prima di luglio non possiamo fare praticamente niente”. C’è l’intero governo all’assemblea di Confindustria che si è chiusa ieri. I ministri parlottano tra loro, Flavio Zanonato, Enrico Giovannini, Fabrizio Saccomanni, Angelino Alfano ed Enrico Letta, i loro consiglieri economici, gli uomini come Stefano Grassi, i tecnici che meglio di chiunque altro conoscono la situazione, temono i fragili equilibri della maggioranza, gli inghippi europei, la penuria di denaro pubblico: “Siamo sospesi, come quei ciclisti in bilico ai blocchi di partenza, almeno fino al 29 maggio quando si chiuderà la procedura di infrazione per eccesso di deficit”.
Così, mentre il presidente di Confidustria Giorgio Squinzi dice dal palco che “ci vogliono le riforme, perché l’Italia è sul baratro”, cala quasi un velo opaco sullo sguardo del ministro Giovannini, lui che la settimana scorsa ha concluso con queste parole una riunione di maggioranza a porte chiuse, in Parlamento, di fronte ai rappresentanti di Pd, Pdl e Scelta civica: “Non abbiamo un euro in cassa, ma abbiamo una pila di guai da affrontare alta così”. E nell’attesa, che si consuma tra le contorsioni sulla legge elettorale e la convivenza promiscua tra Pd e Pdl, i dossier sulla scrivania di Letta si complicano. “Il governo non lo regge un mese così, senza decidere cosa fare nemmeno con l’Imu e con l’aumento dell’Iva che scatta a luglio”, dice Angelo De Mattia, ex dirigente della Banca d’Italia. “Non so se ce la faremo, ma ce la metteremo tutta”, risponde Letta, malgrado sappia che fino alle elezioni tedesche di ottobre la linea europea di sicuro non cambia.


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