Contro i circensi spagnoli che vogliono bucare il pallone a Gibilterra

Jack O'Malley

Gibilterra, quel paradiso britannico ai margini dell’inferno iberico ha una delle federcalcio più antiche del mondo, e chiede semplicemente di essere riconosciuta e partecipare, con le sue squadre dopolavoristiche, ai tornei dell’Uefa. La Spagna però, che di politica estera ha smesso di capirci qualcosa dal 1600, si oppone. La Spagna minaccia addirittura di ritirare il Barcellona e il Real Madrid dalle competizioni europee. Uh, che paura. La Champions League diventerebbe un salone del libro senza Saviano, un festival di Sanremo senza Celentano, un’aula di tribunale senza la Boccassini, praticamente un sogno.

    Londra. A beneficio degli smemorati neolatini, dei burocrati di Bruxelles e del Palazzo di Vetro, della dinastia regnante di Madrid, dei tecnousurpatori della Uefa, della cantera catalana e della paella valenciana, vorrei ricordare che nel trattato di Utrecht, firmato pure a Siviglia (1713), si concede alla Corona britannica “l’intera e totale proprietà della città e del castello di Gibilterra, assieme al porto, alle fortificazioni e ai posti militari contenuti, per sempre, senza nessuna eccezione o impedimento”. For ever. Per sempre. Por siempre. Chiaro? Evidentemente no, considerata la maramaldosa opposizione spagnola all’indipendenza calcistica di Gibilterra. Quel paradiso britannico ai margini dell’inferno iberico ha una delle federcalcio più antiche del mondo, e chiede semplicemente di essere riconosciuta e partecipare, con le sue squadre dopolavoristiche, ai tornei dell’Uefa. La Spagna però, che di politica estera ha smesso di capirci qualcosa dal 1600, si oppone. Non è nemmeno chiaro agli spagnoli, si direbbe, che il trattato in questione ha fermato le ambizioni egemoniche dei francesi sull’Europa, quindi noi oggi, per onorare un minimo senso di realismo, dovremmo sederci attorno a un tavolo ideale, io con un bicchiere di brandy, voi con una caraffa di sangria, e brindare al fatto che thanks God non mangiamo lumache. Gibilterra dovrebbe ispirarci sentimenti di gratitudine eterna per il gran compromesso europeo, quello che ha stabilito un equilibrio basato sull’immortale criterio del male minore, invece ispira stupide obiezioni al riconoscimento della squadra nazionale di quel gioiello dove trentamila compatrioti in partibus infidelium fieramente fanno affari in sterline e s’apostrofano nella lingua della Regina. Mi commuovo per quell’enclave del mio cuore che si protende in un mare che non è solo vestrum: è la nostra ala che si distende sulla fascia, il nostro centrocampista in fase di inserimento.

    Non riconoscere questi fatti basilari è da nevrotici e cocciuti, per questo non mi aspetto che nell’assemblea di oggi la Uefa venga meno alla sua tradizionale irragionevolezza e conceda alle giubbe rosse di Gibilterra la sua squadra nazionale. La Spagna minaccia addirittura di ritirare il Barcellona e il Real Madrid dalle competizioni europee. Uh, che paura. La Champions League diventerebbe un salone del libro senza Saviano, un festival di Sanremo senza Celentano, un’aula di tribunale senza la Boccassini, praticamente un sogno. Ma la minaccia spagnola non è soltanto una boutade a sfondo simbolico. E’ l’egemonia calcistica dilagante di un paese che da anni tiene, inspiegabilmente, tutti gli altri sotto il tallone ed ebbro del suo potere vuole fermare 30 mila patrioti che potrebbero giocarsela sul campo giusto con San Marino e Andorra. Quando i potenti esercitano l’arroganza invece che la clemenza c’è da preoccuparsi. Poi uno si lamenta se siamo tentati dall’uscita dall’Europa. I gibilterresi hanno già espresso con uno schiacciante referendum la loro appartenenza, lo hanno fatto anche i maltesi di origine genovese, i marocchini, i meticci che parlano Llanito e tutti quelli che popolano questa meraviglia che segna la fine del mondo. Se la Spagna avesse un briciolo di rispetto per l’autodeterminazione dovrebbe cedere metà del suo territorio nazionale, ma evidentemente le ragioni popolari non interessano, così come non interessavano ai burocrati delle Nazioni Unite che decenni or sono proponevano soluzioni assurde alla disputa giustificandole con gli “interessi” di Gibilterra, come se i funzionari sopranazionali conoscessero gli interessi che invece sfuggono agli stolti abitanti della Rocca. Se è vero che la storia la scrivono i vincitori, altrettanto vero è che con i prepotenti l’appeasement non serve a nulla. Forza Gibilterra, facciamogliela vedere ai circensi che il calcio è pur sempre roba che abbiamo inventato noi.

    AGGIORNAMENTO (15.30): Poche ore fa l'Uefa ha accettato ufficialmente Gibilterra tra i suoi membri, promettendo alla Spagna che le due squadre non giocheranno mai nello stesso girone di qualificazione. Qua si stappa una bottiglia di brandy.