
Cannes, i fratelli Coen e quella lezione di un film praticamente perfetto
Sull’ultimo film dei fratelli Joel e Ethan Coen – “Inside Llewyn Davis”, in concorso al Festival di Cannes – non si fanno prigionieri. Se siete d’accordo con noi, possiamo darci appuntamento per celebrarlo al di là di ogni ragionevole riserva critica. Piccoli fan che ripetono le battute, ricordano i dettagli, lodano la precisione della sceneggiatura, ammirano la bravura degli attori e pure del gatto Ulisse (annunciato in un tweet come “the new Uggie”, il Jack Russell attore che per “The Artist” di Michel Hazanavicius vinse la Palm Dog). Non si escludono lacrime e commozione: tutte le commedie in cui si ride molto poggiano sulle tragedie della vita.
Sull’ultimo film dei fratelli Joel e Ethan Coen – “Inside Llewyn Davis”, in concorso al Festival di Cannes – non si fanno prigionieri. Se siete d’accordo con noi, possiamo darci appuntamento per celebrarlo al di là di ogni ragionevole riserva critica. Piccoli fan che ripetono le battute, ricordano i dettagli, lodano la precisione della sceneggiatura, ammirano la bravura degli attori e pure del gatto Ulisse (annunciato in un tweet come “the new Uggie”, il Jack Russell attore che per “The Artist” di Michel Hazanavicius vinse la Palm Dog). Non si escludono lacrime e commozione: tutte le commedie in cui si ride molto poggiano sulle tragedie della vita.
In caso di disaccordo, togliamo il saluto. Come capita in rari casi – gli ultimi sono “Up” di Pete Docter e “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino – non amare “Inside Llewyn Davis” vuol dire non amare il cinema. Fine della discussione. E che nessuno osi chiamarlo “opera minore” nella carriera dei Coen – tentazione che ha colto perfino il sito Indiewire, che poi aggiusta il tiro, spiegando che “non lo è ma lo sembra”. Con rispetto: non lo sembra affatto, se non per quel riflesso condizionato che fa pentire i critici quando si divertono. E’ un film perfetto, incantevole, geniale, che evita le secche del biopic – il personaggio è ispirato al cantante folk Dave Van Ronk. Più simile al bellissimo “A Serious Man” di qualunque altro film scritto e girato dai fratelli Coen (anche di “Barton Fink”, a cui per certi versi somiglia).
Nella prima scena Llewyn Davis canta “Hang Me, Oh Hang Me” al Gaslight Café di Greenvich Village: la colonna sonora folk è un’altra meraviglia del film, scelta e curata da T Bone Burnett. Pubblico scarso e poco entusiasta, poi il musicista barbuto viene chiamato sul retro e pestato selvaggiamente (sapremo perché alla fine del film). L’attore è Oscar Isaac, nato a Cuba da padre guatemalteco: canta, suona la chitarra con la tecnica in voga negli anni 60, si è occupato degli arrangiamenti. Ha gli occhi giusti per Llewyn, che non riesce a sfondare (questo di certo non gli migliora il carattere) e guarda il mondo con perplessità e stupore. Non del tutto innocenti: altro gran pregio del film.
Il suo impresario – la quintessenza dell’impresario ebreo, mai così azzeccata dopo “Broadway Danny Rose” di Woody Allen – impietosito gli regala un cappotto. Llewyn dorme sui divani degli amici, prendendosi ogni tanto qualche libertà. Da qui un litigio meraviglioso con Carey Mulligan – appena vista come Daisy in “Il Grande Gatsby” – che prima gli passa un biglietto con scritto “sono incinta”, poi lo ricopre di insulti (scopriremo che Llewyn ha praticamente un conto aperto dal medico abortista: la precedente ragazza due anni prima non si era presentata all’appuntamento).
Anche Carey Mulligan canta dal vivo, come tutti e senza rendersi ridicola con l’effetto ugola in vista di “Les Misérables”. Con il marito ha messo su il duo Jim e Jean. Hanno più successo – spiega il proprietario del locale Pappi Corsicato, in italiano nel copione – perché metà del pubblico si vuole scopare Jean e l’altra metà vuole scoparsi Jim. Tenendo conto che accanto a Carey Mulligan c’è Justin Timberlake (anche lui imbacuccato nei maglioni d’epoca ma sempre affascinante) non hanno mica torto. Tra le comparsate musicali, Adam Driver di “Girls” vestito da cowboy che canta “Hey Mr Kennedy!”
Con sublime leggerezza, “Inside Llewyn Davis” parla della bravura, del successo e dell’insuccesso, in varie combinazioni. Perché Dio ti dà il talento, se poi nessuno compra i tuoi dischi? Perché regala il successo a gente meno brava di te? Perché mette sulla tua strada uno che si chiama Bob Dylan?


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