In che lingua pensa Barca

Redazione

Fabrizio Barca, accreditato da molti come il più credibile candidato a restituire al Partito democratico l’impronta di sinistra, è un economista e uno storico dell’economia abituato a un linguaggio oscillante tra lo specialismo e l’allusivo. Così, quando si avventura, in un’intervista rilasciata all’Unità, a descrivere la sua interpretazione dello “sperimentalismo democratico”, seguire il corso del suo pensiero risulta piuttosto faticoso. Abbondano le critiche, condivisibili quanto ovvie, allo “stato arcaico e autoreferenziale, affetto da smania normativa, autoritario e non autorevole”, ma si fatica a trovare il bandolo della matassa di una proposta di cambiamento.

    Fabrizio Barca, accreditato da molti come il più credibile candidato a restituire al Partito democratico l’impronta di sinistra, è un economista e uno storico dell’economia abituato a un linguaggio oscillante tra lo specialismo e l’allusivo. Così, quando si avventura, in un’intervista rilasciata all’Unità, a descrivere la sua interpretazione dello “sperimentalismo democratico”, seguire il corso del suo pensiero risulta piuttosto faticoso. Abbondano le critiche, condivisibili quanto ovvie, allo “stato arcaico e autoreferenziale, affetto da smania normativa, autoritario e non autorevole”, ma si fatica a trovare il bandolo della matassa di una proposta di cambiamento. Una, sembra di capire, consisterebbe nel “rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni dell’Unione europea”, proposta che dovrebbe diventare un tratto identitario del Pd e della sua collaborazione con i partiti di sinistra europei. In realtà il tentativo più rilevante in questa direzione fu bocciato da un referendum francese in cui la sinistra confluì con l’estrema destra, per paura dell’invasione dei mitici idraulici polacchi.

    Il punto sul quale Barca intende applicare in modo più intenso lo “sperimentalismo democratico” è il metodo di governo che “consente di disegnare i beni pubblici a misura delle persone nei luoghi, di utilizzare le conoscenze diffuse tra utilizzatori e produttori”. Qui si comincia a smarrirsi, come quando ci si imbatte nell’auspicio di “una tensione a un tempo competitiva e cooperativa tra i produttori” o della costruzione di uno “spazio di confronto pubblico e aperto e acceso con i cittadini che consenta l’apprendimento nelle fasi ascendente e discendente dell’azione pubblica, di usare le straordinarie potenzialità della rete per il monitoraggio”. Tra fasi ascendenti e discendenti si rischia di non riuscire più a seguire un percorso descritto come semplificativo e che invece sembra complicarsi a ogni passaggio. Il Partito democratico deve diventare, secondo Barca, una “palestra capace di raccogliere dalla società gli impulsi e le soluzioni necessari a questo moderno modo di governare”. La ginnastica comincia con un esercizio di “torsione forte del nostro modo di governare”, che è senza dubbio necessaria, ma che molti pensano debba puntare alla rapidità e all’efficienza, come strumento per recuperare fiducia nella democrazia. Per Barca invece serve lo “sperimentalismo” con tanto di controllo in rete. Beppe Grillo almeno quando dice queste cose si fa capire. Ma su un punto Barca prova a sfuggire all’effetto supercazzola: quando dice che lo stato non deve essere “succube di élite che estraggono rendita dalla arretratezza”. Lui nel recente tecno-governo delle élite è stato ministro della Coesione territoriale, la sua è con ogni evidenza una durissima autocritica.