Zola ci ricorda quanto è bello il calcio, per Mancini è tutta colpa degli altri

Jack O'Malley

Neppure il programma automatico che a Repubblica.it usano per scrivere gli articoli di calcio (non ditemi che c'è una persona vera dietro a un pezzo che nelle prime 15 righe contiene 10 frasi fatte, da “luci e ombre” a “ciclo al capolinea” fino a “goccia che farà traboccare il vaso”) potrebbe raccontare quello che si è visto domenica sul campo del Watford di Giampaolo Pozzo e Gianfranco Zola. Semifinale di playoff, agli ospiti del Leicester viene concesso un rigore al 96°. Con un gol andrebbero in finale a Wembley a giocarsi la promozione in Premier.

    Londra. Neppure il programma automatico che a Repubblica.it usano per scrivere gli articoli di calcio (non ditemi che c'è una persona vera dietro a un pezzo che nelle prime 15 righe contiene 10 frasi fatte, da “luci e ombre” a “ciclo al capolinea” fino a “goccia che farà traboccare il vaso”) potrebbe raccontare quello che si è visto domenica sul campo del Watford di Giampaolo Pozzo e Gianfranco Zola. Semifinale di playoff, agli ospiti del Leicester viene concesso un rigore al 96°. Con un gol andrebbero in finale a Wembley a giocarsi la promozione in Premier. E invece il portiere del Watford, Almunia, fa una cosa buona in carriera e para, prima di piede e poi di faccia sulla ribattuta. Come in un sogno scritto da un ubriaco la palla finisce sui piedi dell'ala del Watford, corsa sul fondo, cross, torre e gol. Watford in finale. Sul campo si scatena un'orgia sportiva, i tifosi lo invadono prima del fischio finale, Zola corre, salta, cade, si rialza, abbraccia gente a caso, il telecronista quasi sviene, poi piange e infine ride. L'attaccante del Leicester è impietrito mentre attorno i tifosi avversari si abbracciano. Dio, quanto è fottutamente bello questo sport che abbiamo inventato. A proposito: giusto un anno fa un gol di Agüero portava la Premier sulla sponda del City dopo diverse ere geologiche di sofferenza e abissali complessi di inferiorità nei confronti dei vicini di Manchester, quelli con la maglia rossa e la teca stracolma. Allora il ciuffo di Mancini garriva al vento della vittoria, come in un'immagine d'altri tempi, rappresentazione che s'attagliava bene al manager che aveva saputo trasformare un ricco branco di leoni dello spogliatoio in una squadra vincente. Sabato è andata in onda la nemesi. Il City ha perso la finale di FA Cup contro il Wigan, squadra che non è appesa soltanto ai propri risultati per sperare nella salvezza, e il Mancio è stato ufficiosamente messo alla porta dalla corte volubile dello sceicco. Si tratta di definire la tempistica, ma non c'è più posto per lui. Il tecnico, per tutta risposta, ha fatto quello per cui mezza Inghilterra non lo ritiene un allenatore all'altezza: si è lasciato andare. Ha dato la colpa all'ufficio stampa, se l'è presa con la sfiga, ha detto che la maestra ce l'ha con lui. E in un ridicolo colpo di coda ha tirato fuori la storia che il triplete di Mourinho all'Inter era tutto merito suo. Ecco perché non ci sarà mai un Ferguson nei Citizens.