Il Cav. bicipite e i rinfocolatori

Salvatore Merlo

Silvio Berlusconi è stato condannato dalla Corte d’appello di Milano, ha ricevuto la notizia in tempo reale, chiuso nel suo studio di Palazzo Grazioli, e comprensibilmente non l’ha presa bene, malgrado non si aspettasse niente di diverso. Eppure il Cavaliere ha anche imparato a dissimulare, sa che il clima politico è cambiato con Enrico Letta e la grande coalizione. Attorno a lui è tutto un gran strepitare, nel Castello che si raffigura assediato, ma il senso delle cose si nasconde nei dettagli, nelle sfumature, nel silenzio studiato del Cavaliere che ieri ha chiesto informazioni su chi fosse Giorgio Santacroce, il magistrato appena eletto dal Csm, presente Giorgio Napolitano, alla presidenza della corte di Cassazione.

L'editoriale Gogna d’appello

    Silvio Berlusconi è stato condannato dalla Corte d’appello di Milano, ha ricevuto la notizia in tempo reale, chiuso nel suo studio di Palazzo Grazioli, e comprensibilmente non l’ha presa bene, malgrado non si aspettasse niente di diverso. Eppure il Cavaliere ha anche imparato a dissimulare, sa che il clima politico è cambiato con Enrico Letta e la grande coalizione. Attorno a lui è tutto un gran strepitare, nel Castello che si raffigura assediato, ma il senso delle cose si nasconde nei dettagli, nelle sfumature, nel silenzio studiato del Cavaliere che ieri ha chiesto informazioni su chi fosse Giorgio Santacroce, il magistrato appena eletto dal Csm, presente Giorgio Napolitano, alla presidenza della corte di Cassazione. Una scelta che “va nel senso del realismo giuridico”, dicono a Palazzo Grazioli. Qualcuno maneggia incautamente l’espressione “guerra civile”, i duri del berlusconismo suonano tutti i corni di guerra, e gli stormi dei falchi rinfocolatori, come Renato Brunetta e Daniele Capezzone, si librano in volo pronti a scaricare le loro notevoli energie sul fragile equilibrio politico che regge il governo di Letta. Ma la nomina di Santacroce in Cassazione va, appunto, “nel senso del realismo giuridico” e così, alla fine, nel chiuso del Castello, all’ombra dei corridoi più riparati, persino il grande falco Denis Verdini, si è fatto colomba con Berlusconi: “Per noi questo governo è una risorsa”. E lui, il capo, riuniti a pranzo i ministri prestati al governo, prima di lasciarli partire per il ritiro in Umbria, ha dettato le istruzioni: “Con Letta massima lealtà”. E poi: “Bisogna dire che sono i magistrati a bombardare la pacificazione nazionale”. Berlusconi si è ormai consegnato a un gioco più sottile che in passato, ha assunto l’avvocato Franco Coppi, affiancato al tosto Niccolò Ghedini, e insomma gioca su due tavoli. Il Cavaliere adesso ha due forni.

    “Evidentemente, per una certa magistratura la stagione della pacificazione è ancora lontana, e forse non arriverà mai”, dice Renato Schifani, il capogruppo del Pdl in Senato. Ma la condanna, prevista, cambia poco, quasi nulla, nella strategia politica del Cavaliere che gioca su due linee, su due caratteri da coltivare contemporaneamente, la moderazione e la durezza, Ghedini e Coppi, falchi rapaci e placide colombe. “E’ un accanimento disgustoso, una sentenza politica”, dice Brunetta, il capogruppo alla Camera che assieme a Daniele Capezzone recita un ruolo antico, ormai quasi stereotipico nell’universo del Cavaliere, consegnato alla letteratura del berlusconismo persino: quello del rinfocolatore, del sabotatore simpaticamente incongruo, un po’ autorizzato e un po’ no, lo stesso ruolo che nel teatro matto del Cavaliere un tempo fu di Paolo Guzzanti, con la sua fantasmagorica Mitrokhin che voleva portare alla sbarra nientemeno che Massimo D’Alema, quello con il quale si sarebbe invece dovuto tentare un negoziato. E’ l’eterno ritorno del rinfocolatore, ruolo che per una sorta di grazia divina è stato conservato nell’emisfero semantico del berlusconismo. Così oggi Brunetta è quello che modula i toni più minacciosi e acuti, e poi infierisce sul Pd in difficoltà e senza linea (“sono in stato confusionale”, “la sinistra è assatanata di potere”) malgrado i tempi, e il clima politico, come si usa dire, consiglierebbero di mostrarsi invece pietosi, persino per poter lucrare meglio e con maggiore profitto dalla crisi del centrosinistra in difficoltà.

    Il rinfocolatore è dotato di una specie di permanenza, è un incarico complesso e singolare che nel pazzotico Castello di Arcore viene usato oggi come lo fu ieri e l’altroieri e tanto tempo fa. Nel 2006 c’era l’avvocato Enzo Trantino, il senatore siciliano presidente dell’indimenticabile commissione Telecom Serbia, che vide sfilare interrogati Romano Prodi e Piero Fassino, Lamberto Dini ed Enrico Micheli, una fiera di intercettazioni e audizioni, rivelazioni e ritrattazioni, un terremoto oggi sostituito da Capezzone, ficcante neo rinfocolatore, passato dalla presidenza della commissione Attività produttive per la coalizione di Prodi alla presidenza della commissione Finanze per Berlusconi: “Noi siamo compatti e lineari, mentre il Pd è lacerato, debole, incattivito”. E poi: “Il Pd gioca ai dieci piccoli indiani. Da un lato c’è la chiarezza di Berlusconi, dall’altro la faida orribile della sinistra”. Rinfocolatore, appunto, calco unidimensionale di un Cavaliere che di facce ne ha sempre almeno due.

    L'editoriale Gogna d’appello

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.