Il patto politico e l'ammuina sociale

Giuliano Ferrara

In prima pagina Marco Valerio Lo Prete racconta per i lettori del Foglio la tipica storia italiana che parla di stagnazione e di rassegnazione: la Cgil, con la complicità degli altri sindacati, della Confindustria, del sistema dei media e del povero governo Monti in carica per gli affari correnti, è riuscita qualche giorno fa a firmare il patto sulla produttività – una delle poche pietruzze di riforma strutturale che Camusso aveva rigettato con sdegno: soldi in cambio di più e miglior lavoro – e lo ha trasformato surrettiziamente in una volgare ammuina (quello che sta dietro va davanti, quello che sta in alto va in basso, e tutti hanno da muoversi per restare impassibilmente fermi).

    In prima pagina Marco Valerio Lo Prete racconta per i lettori del Foglio la tipica storia italiana che parla di stagnazione e di rassegnazione: la Cgil, con la complicità degli altri sindacati, della Confindustria, del sistema dei media e del povero governo Monti in carica per gli affari correnti, è riuscita qualche giorno fa a firmare il patto sulla produttività – una delle poche pietruzze di riforma strutturale che Camusso aveva rigettato con sdegno: soldi in cambio di più e miglior lavoro – e lo ha trasformato surrettiziamente in una volgare ammuina (quello che sta dietro va davanti, quello che sta in alto va in basso, e tutti hanno da muoversi per restare impassibilmente fermi).

    L’accrocco concertativo, contraddetto dal modo di lavorare ormai diffuso in tante imprese e in tanti sindacati nelle aziende, è figlio di una mentalità della stagnazione e della lagna, tipicamente italiana, che porterà Marchionne definitivamente a Detroit e i tedeschi a comprarci a buon prezzo come si fa con un paese lacero e contuso. Hanno appena festeggiato il mito socialista del lavoro con la “musica balcanica” (Elio e le storie tese) del Primo maggio. In realtà, con gli applausi degli apparati sindacali e del Sole 24 Ore, avevano già provveduto a dare un colpo al lavoro che produce ricchezza, in particolare quello destinato ai giovani, rifacendone un privilegio per i già occupati e i tutelati di ogni sorta. Con tanti saluti a una misura “sfrenatamente liberista” (ma vadano un po’ a cagare quelli che parlano questo linguaggio luogocomunista e volgare) firmata Monti-Fornero e ora svuotata dalle circolari e dai sotterfugi dell’Italia furba.

    Abbiamo impostato una discussione sul fatto che il primo governo sinistra-destra nella storia della Repubblica esprime il riconoscimento del “principio di realtà”. Noi ci abbiamo messo un po’ di realismo (con l’aiuto della teologia neoscolastica in cui l’essere o realtà extramentale delle cose conta più dei desideri soggettivi e collettivi). Il direttore di Repubblica ci ha accusati di volere un’amnistia culturale per mandare assolto il berlusconismo e ha fissato “i limiti dell’emergenza”. La presidente della Camera ha detto che i carnefici sono vittime trasformate in mostri dalla cattiveria sociale. Il principio di realtà e di responsabilità è stato affidato a un governo al quale possiamo fare l’augurio di lavorare in modo diverso da come si è presentato alle Camere, con un discorso dignitoso ma sovraccarico di tutele di stato e privo della energia necessaria a mettere imprese, lavoratori e capitali in grado di provvedere a sé stessi con una frustata liberale all’economia della protezione universale.

    Ieri il Corriere, per la penna di un uomo di sinistra serio come Michele Salvati, ha fatto un discorso editoriale impegnativo simile al nostro. La verità sovversiva è una sola, anche secondo Salvati: se la grande smobilitazione delle faziosità deve avere successo, bisogna parlare al paese una lingua di “lacrime e sangue”, far capire che ci vuole un incremento della produttività in tutti i comparti del sistema e che questo richiede tempo e disponibilità responsabile, perché non si può astrattamente coniugare una rivoluzione necessaria del nostro modo di essere con le varie e menzognere retoriche dell’equità. Ma sono solo le parole in libertà di una persona accorta, intelligente, intellettualmente onesta. Non si vede chi possa guidare il paese oltre il muro lamentoso del pasto gratis e del posto improduttivo assicurato da inesistenti soldi pubblici. La crisi sociale esiste, ma è ingigantita dalle chiacchiere e dalla mitologia mediatica e non è guidata, con misure serie e adeguate a una lunga stagnazione incrociata con un grosso debito, verso un esito di ristrutturazione dell’economia.

    Ci pensino i Letta (tutti e due), i Saccomanni, gli Alfano e, paradossalmente, anche i Fassina: o usano crisi e situazione dell’euro per una rivoluzione di costumi e relazioni sindacali, imponendo un nuovo modello di vita e di lavoro con la fatica necessaria, oppure la larga coalizione distribuirà e ridistribuirà la solita irresponsabile quota di miseria. Con le conseguenze del caso, nella società e nella politica.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.