
Il Barcellona era già morto, i tedeschi lo hanno soltanto seppellito
Il Bayern, mi dispiace per commentatori e nuovi esperti di calcio tedesco, c’entra poco o niente. E’ tutta colpa di Drogba. Adesso che in tv e sui giornali è una corsa a dire con originalità che con la doppia sconfitta del Barcellona “è finito un ciclo”, pochi hanno la lungimiranza di voltarsi abbastanza indietro per capire quand’è che il vitello blaugrana è stato colpito a morte: un anno fa di questi tempi il tendone del circo catalano si sgonfiava sotto i colpi del Chelsea raffazzonato di Roberto Di Matteo. La filosofia del “mès que un club” venne superata da quella del “just a club”, il cadavere a brandelli di Messi e compagni abbandonato senza tante preghiere da Ramires e Torres.
Londra. Il Bayern, mi dispiace per commentatori e nuovi esperti di calcio tedesco, c’entra poco o niente. E’ tutta colpa di Drogba. Adesso che in tv e sui giornali è una corsa a dire con originalità che con la doppia sconfitta del Barcellona “è finito un ciclo”, pochi hanno la lungimiranza di voltarsi abbastanza indietro per capire quand’è che il vitello blaugrana è stato colpito a morte: un anno fa di questi tempi il tendone del circo catalano si sgonfiava sotto i colpi del Chelsea raffazzonato di Roberto Di Matteo. La filosofia del “mès que un club” venne superata da quella del “just a club”, il cadavere a brandelli di Messi e compagni abbandonato senza tante preghiere da Ramires e Torres. Il circuito mediatico-pallonaro, guidato dalle avide mani di Platini e Blatter e oliato dai giornalisti ossequiosi, ne ha portato in giro il cadavere per un anno, premiandone i componenti con ogni sorta di onorificenza per darci l’illusione che la gioiosa macchina da gol costruita da Guardiola non fosse ancora da rottamare. Il calcio però ha questo di bello: non mente mai due volte. I sette gol in due partite del Bayern sono la diretta conseguenza di tutto questo, l'autogol di Piquè la nemesi perfetta; il rapido riposizionamento di commentatori ed esperti che si affannano a elogiare il fino a ieri spernacchiato calcio teutonico, poi, dimostrano plasticamente che il carrozzone ha fatto le valigie e cambiato paese. Serviva qualche mese per individuare la nuova mammella da succhiare, ora che è stata trovata non ce ne libereremo facilmente. Ci costringeranno a dosi massicce di Bundesliga, un surrogato della Liga con un accento più brutto e tifosi più ordinati. Ci convinceranno che Mainz 05-Friburgo è una bella partita e, come nel giro prima, porteranno in processione il feticcio principe del calcisticamente circense: quel Pep Guardiola che, avendo capito in anticipo come girava il vento, si è prenotato da qualche mese la panchina del Bayern.
Naturalmente è assurdo temere che il calcio pane e würstel possa anche soltanto avvicinarsi a una vaga analogia della Premier, anche se ci stiamo ancora leccando le ferite. A espugnarci i tedeschi non ce l’hanno fatta con il Leone Marino, non sarà certo un Cavalcatore di Porci a mandarci in paranoia. La finale mononazionale è un’eventualità tutt’altro che rara, vale quel che vale e dice poco della qualità complessiva di un campionato, ma lo stesso farò in modo di passare quel fine settimana fuori da Londra per evitare lo spettacolo vandalistico dell’invasione tedesca. Già me lo vedo Blatter con il suo sorrisetto da schiaffi che si coccola la nuova bundescreatura e devo sfumare l’immagine a forza di whisky (per certe visioni il brandy non basta). Magari me ne starò su una spiaggia dalle parti di Barcellona per vedere come gli dèi affrontano il loro crepuscolo, magari berrò pure una sangria alla salute di quel popolo che almeno ha avuto la decenza di chiudere per sempre con il mullet quando era il momento. Sul sandalo con i calzini di spugna non mi soffermo perché conosco i limiti del mio popolo. Di certo rifletterò sull’irrilevanza di un calcio europeo appeso alla Bundesliga e sui fattori non logicamente spiegabili per cui il Bayern ha distrutto mezza Europa con una squadra assai simile a quella che si giocava onestamente le competizioni negli scorsi anni. C’è stato un salto di qualità che nessuna alchimia e nessun calcolo può colmare. E’ un’arte ingiusta, aleatoria, imperscrutabile, che non dà ciò che spetta e non ricompensa le iniquità del passato. Per questo la amo. E per questo prego che Robben perda anche questa finale.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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